Il singolo prima della squadra. Zlatan Ibrahimovic è sempre stato così. E non cambia di certo ora a 41 anni suonati, ovviamente. L’ego dello svedese ha sempre preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa ovunque sia andato ed in qualsiasi situazione si sia trovato. Forse anche questa volta.
Ci teniamo il beneficio del dubbio perché per questi ragazzi, i suoi compagni, è come un papà. Per la prima volta nella sua carriera si è messo in discussione, si è fatto da parte per il bene della squadra non prima però di aver impresso marchiandola col fuoco la sua mentalità. Ed i risultati si sono visti. Lo scudetto della scorsa stagione ha anche la firma di Zlatan.
Ma forse tutto questo non è bastato. Sì perché dopo l’ennesimo passo falso del Milan, a Udine, è stato lui a metterci la faccia. Come sempre, ma questa volta il tutto è risuonato più come un’ammissione di colpa. Non tanto per la prestazione in campo con il ritorno al gol che mancava da più di un anno e il raggiungimento di un nuovo, l’ennesimo, record. Neanche per un altro rigore sbagliato, l’ennesimo, poi fatto ripetere dall’arbitro. Bensì per la prova di tutta la squadra, oggettivamente lontana dagli insegnamenti che ha lasciato Zlatan.
Due corpi estranei e mai sulla stessa lunghezza d’onda. E questo lo ha capito anche lui. “Ci sono – ha detto nel post partita – due scenari: quando giochi per diventare campione e quando lo sei già. Questa squadra non ha l’esperienza da campione d’Italia, per questo motivo ci sono alti e bassi. Non è una scusa, è solo una spiegazione“. Una spiegazione, certo, uno come lui non ha bisogno di trovare scuse, ma una spiegazione alquanto eloquente di quello che è successo quest’anno al Milan.
In poco tempo – forse non così poco – Zlatan Ibrahimovic ha trovato la spiegazione. Al post Milan-Roma, quando era accaduto l’imponderabile. A Lazio-Milan, a Milan-Sassuolo, ai derby. E ancor prima alle prestazioni non convincenti prima della sosta Mondiale nascoste dalle vittorie arrivate all’ultimo (Spezia e Fiorentina) e da qualche timido exploit rimasto però isolato.
IL POST DI ZLATAN CHE FA DISCUTERE
Poi la solita autocelebrazione. Lunedì sui social spunta un post, uno di quelli che di solito metti a fine partita se è andata bene. Uno di quelli che porta migliaia di commenti di tifosi felici per celebrare una vittoria importante. Peccato che la partita però è finita 3-1 per l’Udinese. Ed il Milan ha fatto un altro passo falso in zona Champions. Zlatan lascia passare 36 ore, poi non ce la fa più.
“Say my name“, dì il mio nome, accompagnandolo con le due foto dell’esultanza dopo il rigore. Tanti i like nonostante tutto. Tanti anche i commenti con la maggior parte che non capisce questa scelta e che chiede il perché di un post celebrativo dopo una partita in cui da celebrare non c’era niente, neanche il ritorno al gol ed il conseguente record.
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Ma Zlatan è così, prendere o lasciare. Non è di certo un post sui social a misurare le emozioni, l’amore per la maglia ed il rispetto per il Milan. E questo lo sappiamo un po’ tutti. Nel frattempo la soluzione – almeno in teoria – è stata trovata. Adesso servirà passare dalle parole ai fatti, anche per Zlatan. Applicare la teoria sulla pratica. Per non buttare tutto, ma soprattutto per non buttare il Milan.