Nel giorno di Real Madrid-Milan, La Gazzetta dello Sport ha intervistato l’ex allenatore rossonero Arrigo Sacchi: “Nel 1998 alleno a Madrid ed è allora che Emilio Butragueno, ancora oggi dirigente del Real, mi confessa che nel match del 1989 eravamo stati spiati, studiati. Avevano relazioni in cui la nostra velocità era definita incredibile, il nostro ritmo asfissiante. Fu la prima volta che una squadra italiana andò al Santiago Bernabeu a comandare. Noi andammo a giocarcela da protagonisti, se avevano palla loro li attaccavamo per portargliela via, non indietreggiavamo mai. La verità è che avevo una squadra di persone affidabili, una squadra adulta”.
Sacchi prosegue: “Il 5-0 del ritorno? Ho molti ricordi, uno in particolare che inizia ancora prima della partita. Facevamo le cose con impegno e serietà, anche in allenamento. In partitella si entrava duri ed è così che fecero male a Evani: per le qualità che aveva, Chicco non era facile da sostituire. Misi a fare l’ala sinistra il giocatore più disponibile che avevo, che ero certo avrebbe fatto tutto quello che gli chiedevo: Carlo Ancelotti. Giocò una grandissima partita e segnò il primo gol. A San Siro vincemmo negli ottavi anche l’anno dopo, con merito: per me è fondamentale”.
Ancora Sacchi: “Non esiste successo senza merito, altrimenti è come aver perso. Carlo è un uomo adorabile, mi ha chiamato almeno sette volte in questi giorni. È intelligente e modesto, del resto sono qualità che non viaggiano mai separate. Fu il primo giocatore che chiesi a Berlusconi, lui era titubante. Il Milan era appena arrivato quinto e le ginocchia di Carletto sembravano non offrire grandi garanzie. Gli dissi che con lui avremmo subito vinto il campionato. Fu così”.
Sacchi conclude parlando del match odierno: “Spero che tutti i giocatori conoscano la storia del Milan, storia che è sui libri del calcio. Il club con il suo stile e la sua visione viene prima della squadra e la squadra prima di ogni singolo, parte tutto da qui. Leao? Dico solo che anche io trattavo tutti i miei giocatori allo stesso modo. Certo, Van Basten era il più forte ma non scendevo mai a compromessi. Tra un giocatore bravo e uno affidabile, scelgo il secondo. Spero solo che Fonseca conoscesse già i giocatori scelti in estate, non solo tecnicamente ma anche mentalmente. Se non c’è totale sintonia non potrai mai avere una squadra di valore”.