Esame dopo esame. Prova dopo prova. Il Milan affronta il derby guardando l’Inter dall’alto al basso. E non è proprio un caso. Anzi, è il frutto di due lunghi e tribolati anni di lavoro messo in campo da Stefano Pioli col gruppo e dalla dirigenza (con Paolo Maldini in testa) nella ricerca degli interpreti più adatti ad andare in scena.
E non è quindi un caso che oggi il Milan sia una squadra che gioca quasi a memoria – segno della compattezza della rosa – e che possa prescindere dal leader dello spogliatoio che risponde al nome di Zlatan Ibrahimovic. Non è nemmeno un caso la crescita di giovani, scartati da top club europei e ben pescati dalla società, oggi nel giro delle loro Nazionali: il primo pensiero va a Theo Hernandez, subito dopo a Brahim Diaz fresco di chiamata dalla Spagna proprio dopo la stracittadina di stasera. Per non parlare di Tonali.
Maturazione
Il Milan arriva al derby numero 175 in Serie A con una sola vittoria nelle ultime dieci supersfide con i cugini nerazzurri: 2-1 nella gara d’andata della scorsa stagionata dominata da Ibra. Il vantaggio di oggi, pari a 7 punti sull’Inter, non si verificava dal 2016 quando la squadra rossonera allora allenata da Montella sfidava i rivali allenati (guarda caso) da Pioli: finì 2-2 con un bel po’ di spettacolo.
Non è tutto. Proprio Pioli oggi si presenta al big-match con la possibilità di raggiungere un filotto di sei vittorie consecutive, avvicinando così il precedente di otto sfide vinte di seguito, detenuto da Massimiliano Allegri nel 2013. Statistiche che ovviamente lasciano il tempo che trovano, ma sintomatiche della maturazione di questo Milan e della concreta possibilità che sia concretamente candidata alla vittoria dello scudetto.
Le voglie, i sogni
I grandi “vecchi”
Sarà il derby di Zlatan, ma anche quello di Giroud. Due che certamente non sono più i centravanti di dieci anni fa, ma dalla loro hanno età, intelligenza ed esperienza che da bomber di razza li hanno progressivamente trasformati in leader nello spogliatoio e in registi offensivi sul campo. Un esempio per tutti, a cominciare dai più rampanti ai quali fanno da “chioccia”: arretramento sulla trequarti per distribuire gioco e ritrovarsi al centro dell’area avversaria sugli sviluppi del gioco.
Se di Ibra si è detto tutto, per quanto riguarda Giroud il merito va alla sua voglia di giocarsi un’altra sfida importante della sua già brillante carriera e a chi ha saputo cogliere l’occasione di integrarlo in un gruppo perfettamente collaudato. Un po’ come avvenuto per i vari Theo, Tomori, Kjaer e per i tanti coristi di un’orchestra che stasera è attesa dall’evento (finora) più importante. Si suona alla “Scala del calcio”, ma sarà come essere alla Scala “originale” nella notte di Sant’Ambrogio.
C’è un obiettivo troppo grande per non invadere la testa, le voglie e i sogni di tutti: tifosi, giocatori, allenatore, società