Intervenuto nel podcast di Carlo Pellegatti, l’ex capitano Massimo Ambrosini ha parlato del Milan a 360°. Dal passato al presente con qualche consiglio per il futuro. Queste le sue parole:
Sull’addio dei senatori, Ibra e Thiago Silva e il gol di Muntari: “Quei giorni furono emotivamente molto duri. Avevamo capito che in avremmo perso una colonna portante di quella squadra. Io lì ho avvertito il timore di rimanere in una situazione che non sarebbe più stata quella di prima, la sensazione che poi purtroppo era quasi una certezza, in quel giorno lì ebbe il suo apice. Il vento era cambiato per la squadra e per la società: le necessità erano diverse, le esigenze della società erano di riuscire a monetizzare qualcosa. La percezione di non essere più competitivi come lo eravamo prima, c’era. La consapevolezza di fare 3-4 gradini indietro era delicata. Gol di Muntari? Le certezze non possiamo averle, ma da calciatore l’onda emotiva di una vittoria e la possibilità di allungare il vantaggio avrebbe avuto un peso decisivo, ci avrebbe dato una percentuale totalmente superiore di vincere quel campionato“.
Sullo scudetto del 2011 e quello di quest’anno: “Ce l’hanno detto, è stato un tema. Secondo me per la parabola che hanno avuto i ragazzi di Pioli questa squadra qui ha avuto ancora più consapevolezza, e l’ha raggiunta con il lavoro di questi anni. Noi invece abbiamo cominciato a renderci conto della nostra forza verso febbraio. Quello è stato un anno un po’ travagliato, in questo invece il Milan ha raccolto i frutti di due anni di lavoro. Poi ho visto le ultime partite dal campo, devo ammettere che le sensazioni che dava San Siro nelle ultime due-tre partite in casa era qualcosa di clamoroso. È stato unico: la volontà e l’energia che aveva la gente, probabilmente frustrata dagli ultimi anni, l’ha trasferita negli spalti. Io vedevo l’espressione dei tifosi, era un desiderio di esplosione che covavano da anni. Contro l’Atalanta e le Fiorentina era un’esplosione continua, c’era un’energia positiva che era condivisa anche da Paolo a bordocampo, che ogni tanto incrociavo prima delle partite. Guardava lo stadio, che era molto più rossonero rispetto ai nostri tempi“.
Su De Ketelaere e cosa manca al Milan per il salto di qualità: “De Ketelaere è un giocatore interessante, moderno, che però dobbiamo scoprire bene a certi livelli. Viene da un campionato che ha una cultura calcistica votata al lavoro e al sacrificio: potrebbe essere un profilo che potrebbe integrarsi e dare qualcosa. Il Milan ha bisogno in quella zona di campo, magari non di uno ma di un paio di elementi. Il belga e Ziyech a me piacciono. Secondo me manca qualcosa lì sulla trequarti. Siamo in una fase iniziale del mercato, quindi tutto è in divenire. Se il Milan si sistema in quella parte di campo… Ha una struttura difensiva efficace. Nonostante abbia un gioco offensivo il Milan ha vinto il campionato perché non ha preso gol, solo due nelle ultime dieci. Non ci sarà la paura di aggiungere la qualità a questa rosa“.
Sul primo arrivo di Ibrahimovic: “La sensazione quando arrivò Ibra era che il vento era cambiato, con la società che voleva tornare a vincere. Ricordo quando venne fuori la notizia e noi chiedemmo conferma ad Allegri di questa possibilità e lui ci disse che era vero. Mi ricordo che stavamo andando a fare allenamento e ci siamo detti: “Se arrivano questi…” (Ibra e Robinho). Fu un campionato giocato molto bene, Allegri è stato bravo a mettere tante stelle insieme, fu un campionato vinto stra-meritatamente“.
Sul Milan di oggi, da Pioli a Maignan e Maldini dirigente: “Pioli è riuscito a trasferire le sue idee con coerenza e con coraggio al gruppo. Anche nei momenti di difficoltà il Milan non ha cambiato modo di essere, non ha cambiato ma ha avuto la capacità di variare qualche linea di gioco ogni tanto; ma secondo me la squadra era riconoscibile, hanno vinto con merito. Maignan nelle ultime 7 ha fatto una parata decisiva a partita. La grandezza è farsi trovare pronti al momento giusto, è un giocatore che secondo me ha cambiato a livello di personalità questa squadra qui. Non che prima con Donnarumma non lo fosse ma questo ragazzo qui è stata una scoperta clamorosa e i complimenti vanno fatti a chi l’ha preso. Paolo è cambiato rispetto al primo anno, ha capito tante cose, le dinamiche del lavoro, ha compreso il suo ruolo, cosa fare e quando fare. Per fare quel lavoro lì ci vuole un po’ di esperienza che viene maturata con gli anni. Lui è stato sul pezzo e ha avuto delle intuizioni: Maignan e Theo sono robe sue, oltre a tante altre“.