HomeNewsSavicevic: "Berlusconi come un secondo padre, non posso mancare all'ultimo saluto"

Savicevic: “Berlusconi come un secondo padre, non posso mancare all’ultimo saluto”

Dejan Savicevic, uno dei giocatori simbolo del Milan di Berlusconi, è stato intervistato dalla Gazzetta dello Sport nel giorno del funerale dell’ex Presidente. Ecco le sue parole complete.

 La sua presenza:Il presidente era veramente un secondo padre. Mi voleva bene. Anch’io a lui. Lo saluterò per l’ultima volta, è stata una partenza difficile. Ho parlato con Daniele Massaro e gli ho detto che potevo prendere un aereo alle 11. E lui mi ha consigliato di aspettare, perché è un funerale di Stato, ci sono regole e restrizioni per la sicurezza. Va bene, capisco. Poi mi hanno richiamato e a quel punto sono partito in macchina, da Podgorica per Milano. Oggi in Duomo ci sarò anch’io, non posso mancare“.

Cosa è stato per lui:L’ho detto, un secondo padre. Sembra una parola grossa, esagerata. Ma è così. Sentivo che mi voleva bene, che mi stimava, mi difendeva. Anche troppo…Ho fatto delle cazzate e ho sbagliato, ma lui sistemava tutto e mi diceva di stare tranquillo, di portare pazienza. Una volta, contro l’Anderlecht, ho rifiutato di andare in panchina. È venuto fuori un casino, Capello si è arrabbiato. Berlusconi ha dato ragione a Fabio, ma ha detto anche che ‘Dejan va capito. È un fuoriclasse e soffre perché non gioca‘”.

I suoi rifiuti alle panchine:Sai, io volevo giocare. È vero, a 17 anni ho rifiutato la panchina e detto all’allenatore del Buducnost: ‘O gioco o vado in tribuna’. A 21 anni ho detto a Osim, tecnico della nazionale: ‘Se mi convochi mi fai giocare, altrimenti resto a casa’. A Capello non l’ho mai detto. Io volevo giocare, giocare e giocare. Mi avevano preso per questo, nel 1992. Ma non è andata così, ho aspettato molto, ho sofferto“.

Il suo passaggio al Milan:Il Milan era il top in Europa. Vero, dovevo andare alla Juve, poi alla Roma, poi al Monaco in Francia. Io ero alla Stella Rossa, avevamo vinto la Coppa dei Campioni, battuto il Marsiglia a Bari. Dovevo vincere il Pallone d’oro, ma l’hanno dato a Papin. Ha perso la finale, è arrivato secondo, ma era francese. Capisci?“.

La trattativa:Sì, una cosa veloce. So che c’era l’interesse della Juve. È venuto Ariedo Braida, un grande dirigente, a Belgrado e ho firmato. È stato tutto molto facile. Braida era felice e diceva: bene bene, nema problema, Dejan“.

L’inserimento difficile con Capello:Sì. È stata durissima, non ce la facevo. Stavo diventando matto, volevo tornare a casa. Dopo sei mesi ho chiesto di andar via…L’ho detto a Berlusconi, ma lui mi diceva di stare sereno. Capello mi faceva giocare pochissimo, anche perché davanti c’erano Gullit, Van Basten e Rijkaard. E allora mi mandava in campo per venti minuti. E io gli dicevo: ‘Ma fammi fare 5-6 partite complete di fila, e poi capirai se sono da Milan. Se non lo sono, me ne vado’. C’erano richieste, non ero l’ultimo arrivato“.

Quando si è espresso al meglio:Dopo un po’ di tempo e tanti problemi dovuti alla lingua, il rapporto con la città, il cibo, i compagni, il campionato diverso. Mi hanno aiutato molto il presidente e Boban. Zvone mi diceva: ‘Dejan, non fare lo scemo, sei più forte di tutti, non andar via. Vedrai, giochi e poi spacchi tutto’“.

Rivedere Atene 1994:Ancora? Sono passati quasi trent’anni. Ma è vero, certe cose, certe emozioni non si possono più dimenticare. Giocavamo contro il Barcellona, eravamo sfavoriti, spacciati. E invece abbiamo vinto quattro a zero…Berluconi non c’era. Lo avevano appena eletto presidente del Consiglio. Mi telefonò il giorno prima della partita: ‘Caro Dejan, dicono che sei un Genio. Bene, dimostramelo contro il Barcellona’. Sì, dai, è andata bene. È stata forse la più bella finale. E quando penso a quel gol mi viene sempre in mente il mio Milan, Berlusconi, quell’ambiente meraviglioso. Siamo diventati così perché c’era lui, il nostro grandissimo presidente“.

Silvio Berlusconi (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)
Silvio Berlusconi (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)

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