Il direttore tecnico del Milan, Geoffrey Moncada, è stato protagonista di una lunga intervista a Milan TV. Di seguito tutte le sue dichiarazioni:
Sul primo contatto con il mondo del calcio: “E’ stata una partita del Monaco, aveva tanti campioni come Trezeguet, Simone, Giuly e ho capito che era il lavoro che avrei voluto fare. Mio padre mi portava da piccolo a vedere le partite del Monaco e del Marsiglia e non diventato pazzo per il calcio. Mio nonno era pazzo di calcio e mi faceva vedere tante partite e ho cominciato a studiare la tattica e i calciatori.”.
Su altre squadre che seguiva: “Mi piace il calcio latino. Del calcio italiano mi piacevano Zidane, Desailly, Weah, ma anche il calcio spagnolo e quello portoghese”.
Sui ricordi del Milan durante l’infanzia: “Ha avuto tanti giocatori francesi, la tv francese faceva vedere le partite di Champions in chiaro e io vidi il Milan contro PSG e Monaco. Così ho conosciuto il Milan, San Siro, i loro tifosi e questa bella maglietta. Tutti parlano bene per il Milan”.
Sul suo passato da calciatore: “In campo ero tipo Gattuso, molto cattivo e sempre in pressing. Non ero male, ma non ero un grande giocatore, non avevo il profilo giusto quindi mi sono appassionato al mondo degli allenatori, dei dirigenti”.
Sul rapporto con i genitori: “Mi sono sempre stati molto vicini, con mio padre andavo a vedere le partite e mi ha sempre permesso di praticare il calcio. Io lo chiamo “carabiniere”, ho sempre avuto un’educazione militare e rigida, ma mi hanno sempre fatto fare ciò che volevo. Mi hanno sempre detto di fare le cose che mi piacciono e portarle avanti fino alla fine”.
Sulla sua carriera: “Ho studiato management e marketing commerciale, ma mi mancava l’aspetto sportivo e quindi sono andato a lavorare in un’azienda, la Video Profile, che faceva lavori video tattico e scouting sui calciatori”.
Sulla sua esperienza al Monaco: “Mandai il mio CV e ho aspettato, il direttore sportivo mi chiamò per incontrarmi perchè mister Claudio Ranieri aveva bisogno di un match analyst, e dopo una settimana mi hanno assunto. Non ho avuto remore nell’accettare. La squadra era in Serie B ed era gestita da un fondo russo che aveva cambiato tutto. Ranieri chiese un match analyst, arrivai al centro sportivo e non c’era niente, nemmeno i computer. Ho avuto subito un rapporto con lui e ho capito i bisogni dell’allenatore e tutto quello che riguarda la partita. Con la proprietà russa, facevamo tantissimo player trading e un grande scouting sia in Francia che all’esterno”.
Sul suo rapporto con Riccardo Pecini: “Era più uno scout che un direttore, gli piace vedere giocatori dal vivo e in video. Ho imparato tanto da lui, aveva grande professionalità e aveva bisogno di un coordinatore degli scout e mi ha scelto per questo ruolo. Era un lavoro molto intenso, senza riposo, ma interessante. Ho lavorato molto sulla tattica degli avversari, avevo ogni settimana almeno tre meeting con i calciatori per analizzare tutte le caratteristiche degli avversari”.
Sul ruolo dello scout: “Durante la settimana lavoravo in ufficio, iniziavo con le partite dal venerdì pomeriggio, poi un’altra il sabato pomeriggio, un’altra ancora il sabato sera e poi domenica pomeriggio e domenica sera. Quando viaggi, conosci tante persone: direttori sportivi, scout, giornalisti, procuratori, famiglie”.
Sul rapporto con i giocatori ai tempi del Monaco: “Il mio ruolo era una novità c’erano tanti giocatori stranieri e dovevi parlare tante lingue. Sono arrivato con umiltà e ho avuto la fortuna di lavorare con giocatori come Toulalan, Abidal, Falcao, James, che a fine partita mi chiedevano di fargli vedere i video della loro prestazione”.
Sui giocatori che ha scoperto: “Bakayoko, Lemar, Mendy, Sidibè, Germain. Tutti noi del reparto scout siamo stato orgogliosi che questi giocatori che abbiamo scoperto abbiano vinto un campionato e siano arrivati a disputare una semifinale di Champions League. Era bello vedere questo gruppo formatosi in tre anni che è arrivato a questi risultati: avevamo giocatori come Fabinho, Bernardo Silva, Tielemans, Diop, che adesso giocano in grandi club. Lemar lo abbiamo preso dal Caen Primavera, Martial dal Lione B”.
Sui giocatori che non lo avevano convinto, ma che poi hanno avuto una buona carriera: “C’è un esempio proprio qui al Milan: Ismael Bennacer. Ha iniziato in un piccolo club francese di nome Arles-Avignon, vicino Monaco. Siamo andati a vederlo varie volte e a Riccardo Pecini piaceva molto. Lo abbiamo seguito, ma lui è andato subito in un grande club come l’Arsenal, dove non giocava. In Italia è cresciuto tanto, e lui è un esempio che ai ragazzi va lasciato del tempo per consacrarsi”.
Sulla chiamata del Milan: “Quando il fondo Elliott ha preso il Milan, mi chiamarono per fare il capo scout. Feci tre incontri con loro in estate, ma poi sono arrivato a dicembre. Da agosto a dicembre lavoravo per il Monaco ma pensavo al Milan, avevo già fatto la mia scelta e il Monaco ha capito. Quando il Milan ti chiama con un progetto così interessante, non puoi dire di no”.
Sul cambiamento tra Monaco e Milano: “A livello di lavoro è molto diverso, qua c’è molta più pressione ed una tifoseria molto più importante. In Italia tutti parlano di calcio, a Monaco nessuno parla di calcio. Qui devi creare un processo”.
Sull’organizzazione dello scouting del Milan: “La maggior parte degli scout sono qui in Italia, ma è importante averne anche di stranieri. Non possiamo viaggiare sempre dappertutto perchè non c’è tempo, quindi abbiamo tutto nei database. Dopo aver fatto tutto il lavoro di analisi, io parlo direttamente con la dirigenza e il mister per decidere sul giocatore. Abbiamo fatto così quest’estate. Abbiamo lavorato sui profili di giocatori veloci e potenti, ma poi dipende dal mercato, dal budget e da tante altre cose. Ma tutti vogliamo la stessa cosa”.
Su come convincere un giocatore: “C’è una concorrenza incredibile, di club tedeschi, spagnoli e inglesi. Siamo tutti più o meno sugli stessi giocatori: per me è importante vederli almeno quattro volte dal vivo, due in casa e due in trasferta, tenendo conto anche di altre dati come infortuni, stile di vita, famiglia. Quando abbiamo questi tipo di informazioni, vado a vedere la partita. Oggi i giocatori prima di firmare vogliono sapere tutto della squadra ma anche della città. Siamo un grande club di una bella città e a loro posso dire che se vengono a Milano, non c’è solo il calcio ma tante altre cose che sono importanti”.
Su cosa si guarda in un calciatore: “I dati ci fanno conoscere cose che non sapevamo del giocatore, ma la cosa più importante è vederli dal vivo: velocità, forza, cambi di ritmo, mentalità. Un ragazzo deve stare in uno spogliatoio di 25 giocatori e bisogna creare il giusto mix. Il Milan è più importante di ogni giocatore e nessuno deve sentirsi la star”.
Su Leao: “Quando ero scout al Monaco, avevo preparato un focus sul campionato portoghese. A Lisbona c’era una partita dell’Under-19 tra Sporting e Belenenses, all’epoca non avevamo dati o video sui giocatori, quindi dovevamo andare sul campo. Vidi questo ragazzo con il numero 10, alto, veloce e tecnico: era Leao e ho visto subito un giocatore con un talento incredibile. Lo abbiamo seguito il Nazionale e in campionato, ma non giocava con continuità, era difficile da seguire bene. Per me la Youth League è uno step fondamentale: se fa bene lì, è molto facile che faccia carriera, come ha fatto Rafa. Tutto il mondo dello scouting si era accorto fosse un giocatore forte”.
Su Milanello: “La mattina seguo gli allenamenti e parlo con mister e staff, è importante stargli vicino e capire di cosa hanno bisogno. Parlo con i calciatori per sapere come stanno, come stanno le loro famiglie e se possiamo fare qualcosa per loro. Sono sempre aperto con loro, per capire cosa possiamo sviluppare. Parlo molto con Furlani, mi aiuta tanto ed è molto aperto con i ragazzi per capire se si sente bene a Milano e a Milanello. Abbiamo una bella vita qui al Milan”.
Sulla stagione: “E’ lunga, dobbiamo stare calmi e lavorare. Abbiamo infortuni, vari problemi, ma dobbiamo lavorare per vincere e per essere stabili e giocarcela fino alla fine”.
Sul futuro del Milan: “Vogliamo creare un gruppo di giocatori forti che lavorino nell’arco di 3-4 anni. Abbiamo bisogno che il Settore Giovanile crei giocatori giovani e italiani. Quest’estate abbiamo cambiato tanto, la prossima contiamo di cambiare 2-3 calciatori, ma è importante avere già una base perchè vogliamo vincere, ma serve fare le cose per bene”.