Mike Maignan si è raccontato insieme al rapper francese Ninho all’interno del nuovo episodio di “ESN Talks“, format creato dall’agenzia Excellence Sport Nation che cura gli interessi del portiere francese e di altri giocatori transalpini come Tchouameni del Real Madrid e Kounde del Barcellona. Ecco le sue parole.
Sulla sua infanzia: “Ho iniziato a calciare il pallone a 6 o 7 anni. Inizialmente volevo diventare un attaccante, un giocatore di movimento insomma. Poi ho finito per fare un po’ il portiere, ma ho fatto entrambe le cose perché non volevo più giocare. Nel frattempo ho completato la maggior parte della mia formazione scolastica. Quando avevo circa 12/13 anni, c’era Clairefontaine. Gli esami si fanno lì. E io non volevo proprio fare il portiere. Sai, per me è noioso, è noioso. Guardi gli altri giocare, non ti diverti e ti fa rabbia. Poi sono andato al Clairefontaine con un allenatore che mi ha detto: ‘Se arrivi all’ultimo turno, rimani in porta’. Sono arrivato all’ultimo turno, quindi alla fine sono dovuto rimanere in porta e poi c’era il PSG che mi seguiva. Quindi la fase giovanile è andata così“.
Maignan continua: “Per me la scuola è stata un disastro. Sai, ci picchiavano per strada, picchiati lì fuori. Con tutto quello che stava accadendo. Ho avuto un buon percorso formativo. Ho iniziato la prima media che è stata una vera lotta. Il primo anno commissione disciplinare. È stato un incubo. Il secondo anno ho rischiato la commissione disciplinare. Vedi, ricevevo solo ammonimenti e rimproveri. Mia madre veniva a scuola e andava su tutte le furie. Venivo sempre espulso per rissa. Lascia perdere, era una palla al piede. Il terzo anno, invece, diciamo che è stato allora che sono cambiato. Perché in quel periodo, il PSG mi stava addosso. Ci sono stati i miei primi due trimestri e ho fatto una fesseria da non credere. Mi convocarono al Camp des Loges e non l’ho mai dimenticato. Davanti a mia madre, presero la mia pagella, mi guardarono e mi dissero: ‘Ma tu sei un delinquente’. Davanti a mia madre. È stato un vero shock. Mia madre in lacrime, non stava bene. Cominciò a farsi domande: ‘Che cosa ho generato?’. Ma il problema per me era che venivo educato a casa, ma fuori era una sofferenza. E dal momento in cui il PSG mi ha messo sotto pressione dicendomi che non mi avrebbero preso se non avessi avuto una pagella decente. Mi sono visto rifiutare molte cose a causa della scuola. Un sacco di club, non li cito nemmeno. E ho avuto un terzo trimestre pazzesco, non mi era mai successo in tutta la mia vita. L’estate successiva ho firmato il contratto a Parigi. Da quel momento in poi sono rimasto in un buon posto fino alla seconda superiore“.
Sul suo rapporto con la musica: “Sapevo scrivere, ma tutto ciò che aveva a che fare con il flow era complicato. Così producevo piccoli suoni, ma non errata mia strada. Io ce l’ho fatta nel calcio, tu nella musica“.
Sulle caratteristiche distintive di un portiere: “Devi avere personalità, devi essere creativo, devi avere una mente. La mente“.
Sul centro di formazione: “Onestamente, all’inizio quando siamo arrivati al centro di formazione, pensavo che ce l’avremmo fatta tutti. Che eravamo tutti lì e tutti saremmo diventati professionisti. Così ho giocato tanto per giocare. Non avevo quella passione sfrenata che ho oggi. Finché un giorno uno dei ragazzi della mia squadra mi ha detto: ‘Hai avuto l’appuntamento per sapere se entrerai a far parte del centro?’. Io ho chiesto che cosa intendesse e lui mi ha risposto: ‘Perché a fine stagione alcuni di noi saranno scartati’. Gli ho detto: ‘Non puoi dire sul serio’. E quando lo ha detto, penso che fosse dicembre. E non stavo giocando troppo sul serio, quindi non mi ha dato troppo fastidio perché per me la fine sarebbe stata per tutti la stessa. E da quel momento in poi ero in fibrillazione. Ho iniziato ad impegnarmi. La mia passione sfrenata, il fatto che non mi piace lasciarmi niente alle spalle, è venuta fuori. Io ce l’avevo già, ma si era affievolita in me perché pensavo di essere già arrivato. In realtà non era così, era solo l’inizio. Ci si allena al centro, mi sono allenato molto. Mi sono impegnato a fondo. La tenuta mentale l’avevo. Tutto quello che ho imparato fuori, nel mio quartiere, mi è stato utile. Mi ha aiutato ed è così che sono andato avanti. Quando ti trovi al centro, pensi di avere degli amici, ma non è così. Hai molti nemici. Perché tutti i ragazzi che sono lì, vogliono prendere il tuo posto, ma non è che vogliono prendere il tuo posto in senso buono con della concorrenza leale. Se potessero spararti alle spalle, ti sparerebbero all’istante. Ti eliminano. Quindi quella era un’atmosfera di competizione. Da un lato è una cosa positiva, dall’altro rappresenta un problema, perché siamo lì per aiutarci a vicenda. Di solito dobbiamo fare così, ma ognuno fa per sé. Poi si va avanti, fai le categorie 17, 19. Scopri allenatori diversi che ti allenano in modo diverso. In generale, l’allenatore dell’U17 è un po’ più tranquillo. Nell’U19 è severo. Quando si arriva in Serie C francese è fatta, si entra nel mondo dei professionisti. Poi da lì in poi devi impegnarti ogni fine settimana, ad ogni allenamento. È tutto più complicato. Devi continuare ad andare avanti. È complicato tenere il passo, non puoi farlo sempre, quindi a volte questo crea infortuni, crea momenti di dubbio. Al centro di allenamento, sono tutti quei momenti che vivi che faranno di te il giocatore che sarai domani. Ci sono allenatori che riescono a capire: ‘Puoi farcela o no?’. E questo è molto importante da sapere. Poi al centro si incontrano anche dei fratelli. Ci sono giocatori oggi con cui siamo più che fratelli. Sono spesso in mezzo a loro, che si tratti di Rabiot, Kimpembe, Coman, Dembele. Sono tutti ragazzi che hanno frequentato lo stesso centro di allenamento. Solo per dire il livello del centro“.
Su come gestire la pressione dello stadio: “Entro allo stadio determinato, so che devo fare il mio lavoro e che se do il massimo non mi può succedere nulla. Non baro. Io ho questa cosa: blocco tutto. I commenti negativi e tutta quella stampa, blocco tutto. La cosa più importante è la mia famiglia, i miei ragazzi affidabili, il mio entourage. Li chiamo. Si parla prima della partita o della vita“.
Sulla sua mentalità: “In quello che facciamo, vogliamo essere i numero uno. Questo è l’obiettivo. Essere il miglior portiere del mondo per un anno è facile, ma nell’arco di diversi anni no. Ecco perché bisogna lavorarci mentalmente. Lavorare, essere motivati, non arrendersi mai. Non importa quanti milioni guadagni, non importa cos’hai, la fama… Devi continuare a lavorare. Per me questo è solo l’inizio. Oggi lavoro tre volte tanto. E qui, sto entrando nei dettagli. Ho già capito quasi tutte le cose fondamentali. Cerco di mantenere queste nozioni di base e di lavorare su di essere nel dettaglio. ‘Perché ho fermato la palla?’. ‘Perché non avevo il piede sulla palla in quel momento?’. ‘Perché non ero rivolto in questa direzione?’. E poi diventa un lavoro più mentale in cui in ogni situazione, devo essere almeno due o tre secondi avanti. Quando il giocatore ha la palla, so già di avere tutte le soluzioni. O tira sul palo vicino o cross o dribbla. E non mi metto sotto pressione. E mi sveglio ogni mattina per lavorare, per essere il migliore. I miei compagni sono con me, giochiamo nella stessa squadra nel fine settimana, ma quando esco dall’allenamento devo essere migliore di loro. Quando c’è una partita, la mia squadra deve vincere. Se non lo fa, è un problema. E così che penso di poter mantenere il mio livello. Nelle partite in cui possiamo perdere 2-1, prendo due gol e non posso fare nulla. Ma penso nella mia testa cosa avrei potuto fare prima che si presentasse questa situazione. Ad un certo punto avrei dovuto parlare con un giocatore per porre fine a questa situazione? È proprio quello che farò. Se sono io a fare l’errore, mi siedo davanti al pc e guardo il video, da solo o con il mio allenatore, o di notte, perché mi piace pensare. Guardo ogni dettaglio. E poi, una volta analizzato il mio errore, guardo dove è stato commesso l’altro errore. Se un giocatore ha commesso un errore, cosa avrei potuto dirgli per richiamarlo, in modo che non commettesse quell’errore. Sono questi piccoli dettagli che mi hanno reso ciò che sono oggi. E ho anche una squadra. A volte, sai, non sono proprio il tipo che legge la stampa e tutto il resto. A volte ricevo notifiche che non mi piacciono molto. ‘Ah, così e così è meglio di te’. E cose del genere che mi infastidiscono perché so che non è vero. E allora cosa faccio? A volte divento pazzo. Alle 23 mi alzo e vado in palestra. Mi alleno, il terzo allenamento della giornata. Perché prima mi sono già allenato. E mi alzo di nuovo il giorno dopo. E non sono stanco fino alla partita. Quando quella è finita e ho messo fuori gioco il mio avversario, mi riposo. Dopo ricomincio da capo. Sono le prestazioni, quello che la gente dice di me, anche se non mi interessa, ma mi piace dare torto. E c’è qualcosa a cui penso da una stagione in cui ho fallito, tutto questo. Ho perso la mia stagione, avevo perso sei mesi, mi avevano fatto fuori. E la cosa che mi sono messo in testa: ‘Non aspettate che vedermi fallire’. Loro aspettano che io fallisca, ma io non fallirò mai. Questo significa che so che quando fallirò, c’è un fucile che mi aspetta. Quindi ogni volta continuo ad andare avanti“.
Sul denaro: “La prima cosa che ho comprato quando ho avuto i soldi? Ad essere sincero, con il mio primo stipendio da professionista non potevo fare nulla, era troppo basso. Ma quando ho firmato il mio secondo contratto, è stata una casa per mia madre. L’ho portata via da Villiers-le-Bel. Le piaceva la zona, ma l’ho portata via perché non ha prezzo. Tutto quello che ha fatto per noi, per me, per la famiglia, non ha prezzo. Meritava di avere questo. Moda? È uno dei miei obiettivi per il futuro, quello di diversificare. Obiettivi anche nel calcio, sempre. Come ho detto, sono in cima alla montagna e quindi la sto spingendo ancora più in alto“.
Sui sogni: “Onestamente non mi piacciono molto i sogni, sono più oggettivo.Quello che vorrei è che tutti noi riuscissimo a farcela. Vorrei poter continuare a lavorare nel mio campo. Andare avanti, aprirmi delle portare perché quelle mi aiuteranno ad aumentare il mio patrimonio, a diventare più forte e tutte le persone che sono state con me fin dall’inizio, cioè la famiglia, i ragazzi affidabili, gli amici più stretti, potranno progredire. Loro mi hanno dato la forza, io lavoro con la loro forza e se Dio vuole, tutta la forza che mi hanno detto, posso restituirla. Mi avete aiutato così tanto che non vi siete nemmeno accorti che la forza che mi avete dato era in realtà opera vostra. Noi siamo sotto i riflettori, loro dietro le quinte“.
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🇮🇹Subtitles pic.twitter.com/X5AwjyGLT3— Magic Mike Maignan (@mmseize) August 3, 2023
