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Inzaghi: “Notti di coppa? Sentivo il dovere di dare tutto me stesso per la gente che veniva allo stadio. San Siro…”

In vista del suo cinquantesimo compleanno, mercoledì 9 agosto, Filippo Inzaghi ha rilasciato una lunga e bella intervista ai microfoni di SportWeek, inserto settimanale della Gazzetta dello Sport. Ecco un estratto della chiacchierata nel quale tratta anche tematiche rossonere.

Da 21 a 30 anni è stata la a parte centrale della mia carriera: l’Atalanta con il titolo di capocannoniere, la Juve, il Milan, la Nazionale. Le decisioni importanti. La dedizione, l’impegno assoluto, gli obiettivi in testa. Gli anni della consapevolezza. Mi sono goduto ogni attimo perché era esattamente quello che avevo sempre desiderato fare. Da 31 a 40 anni sono stati forse gli anni più belli da giocatore, quando qualcuno pensava che avessi ormai poco da dare. Berlino, Atene. I gol nelle finali. Anche due infortuni gravi. La voglia di sacrificarmi perfino più di prima. E l’addio al calcio: bello come nei sogni, con il gol sotto la mia curva, nel mio stadio, con l’ultimo tiro in porta della carriera“.

Sul calcio e il gol: “È passione. Una passione smisurata. L’unico anno che sono rimasto lontano dal campo, dopo la stagione sulla panchina del Milan, sono stato male fisicamente: ero smarrito, somatizzavo, non sapevo come arrivare a sera. Io amo il calcio che piace alla gente, quello pulito, nobilitato dai sentimenti. E mi gratifica l’affetto che mi manifestano non solo i tifosi del Milan, ma gli appassionati in generale. Il gol? Ho nutrito questo rapporto con attenzione, affetto, fiducia: come far crescere un bambino. Madre Natura è stata brava, certi gol nascevano da soli dentro di me. E me ne accorgo adesso quando cerco di trasmettere le mie conoscenze agli attaccanti che alleno: ci sono cose che non si possono insegnare. Poi, naturalmente, bisogna impegnarsi, gestirsi bene fuori dal campo, essere al massimo dal punto di vista fisico“.

Sulle notti di coppa: “Mi sentivo più forte. Negli ultimi chilometri in pullman per arrivare a San Siro, facevo caso alle città di provenienza dei pullman dei tifosi: Lecce, Reggio Calabria, Cosenza e così via. E pensavo: ‘Queste persone hanno fatto un viaggio lunghissimo, ripartiranno dopo la partita, passeranno la notte sul bus e all’arrivo magari andranno subito a lavorare’. Non c’era stimolo più grande. Sentivo il dovere di dare tutto me stesso. Non potevo promettere la vittoria, ma di sicuro avrei fatto qualunque cosa per ottenerla“.

Sull’esaltazione di San Siro: “Lì dentro avevo un’energia incredibile e pensavo che nulla mi fosse precluso. Il momento più bello era quello del riscaldamento: non avevo paura di niente perché sapevo come mi ero preparato. Essere un campione significa rispettare i compagni, gli avversari, la professione. Spostare sempre l’asticella. Ed essere disponibili con la gente: per me è bellissimo quando mi chiedono una foto o un autografo“.

Meet&Greet Filippo Inzaghi - MilanPress, robe dell'altro diavolo
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