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Verso l’Euroderby, il doppio ex Coco: “Tiferò Milan. Sono quelle partite che se vinci scali l’Everest, se perdi…”

Il doppio ex di Milan e Inter Francesco Coco ha rilasciato un’intervista ai microfoni del Corriere della Sera, edizione milanese, in vista del derby europeo in semifinale di Champions League. Ecco le sue parole.

Mai più avvertita quell’adrenalina. Sono quelle partite che se vinci scali l’Everest e se perdi ti fai male. Fu brutto uscire con due pareggi (0-0; 1-1), per fortuna hanno rivisto la regola dei gol in trasferta. Capisco quei tifosi che avrebbero preferito sfidare un’altra squadra, ma vuoi mettere la grandezza di un derby europeo? L’attesa, le emozioni. Sarà storia. Un evento per dire a figli e nipoti: ‘Io c’ero’. Mi infortunai a cinque minuti dalla fine. Al ritorno, dopo il pareggio di Martins all’84’ scesi nello spogliatoio, da solo: troppa tensione dal vivo. Ascoltai il finale in radio e cercai di interpretare il boato dei tifosi. Ad un certo punto sentii come un’esultanza: la parata di Abbiati su Kallon. Fine. Arrivarono i miei compagni, tutti in silenzio. Per qualche giorno mi chiusi in me stesso. Eravamo un bel gruppo. I leader? Vieri, Di Biagio e Materazzi. Capitan Zanetti era più silenzioso“.

Sullo scambio con Seedorf: “Sarei andato all’Inter comunque. Moratti e Oriali mi corteggiarono per mesi durante la mia esperienza al Barcellona. Ero in prestito dal Milan, dove ebbi qualche problema con mister Terim. Gli subentrò Ancelotti che provò a riportarmi in rossonero, ma ormai avevo scelto. Stracciai inoltre un pre-contratto di 5 anni con i catalani. Il mio destino non era legato a Seedorf, se poi le società hanno trovato questa formula… mica ero un signor nessuno“.

Su Berlusconi e Moratti: “Sono molto simili, quasi paterni. Umani. Lontani dalla figura del presidente-padrone. Berlusconi mi prendeva a braccetto e passeggiavamo per Milanello, era fiero che un ragazzo del settore giovanile fosse arrivato in prima squadra. Non voleva portassi i capelli lunghi: ‘Quando corri ti coprono gli occhi’. Me ne tagliò una ciocca“.

Sul suo percorso rossonero: “Entrai nel Milan da bambino, avevo 10 anni. Vivevo in un collegio della società, a Lodi. Mamma e papà potevano chiamare solo due volte a settimana. Massimo dieci minuti. Fu un impatto forte, oggi sarebbe diverso con i social. La mia famiglia, originaria di Paternò, si era da poco trasferita a Legnano. La mattina andavo a scuola, pomeriggio agli allenamenti a Linate in pullman, quindi il ritorno in collegio. Alle 10.30 luci spente. Imparai presto il rispetto delle regole. Finche non è diventato un lavoro, quando era solo “pallone” mi sono divertito. Il calcio a certi livelli è un’istituzione con troppi interessi: soldi, responsabilità, colpi bassi. Difficile rimanere se stessi e fidarsi. Non ho ereditato molti amici. Ho sentito il peso della pressione: ogni partita un esame. Stress. Ecco perché oggi sono più sereno. Ma anche allora cercavo di costruire un futuro fuori“.

Sul derby: “Come in ogni derby non c’è un favorito. Certo Inzaghi sembra avere feeling con le Coppe. Più della tecnica conterà la testa. Io tiferò Milan“.

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