Dopo un inizio di stagione incoraggiante si parlava di grande mercato del Milan. Una frase ed una formula di cui si è spesso abusato, soprattutto durante i mesi di luglio ed agosto quando i rossoneri, con i soldi incassati da Tonali, ma non solo, compravano calciatori su calciatori e cominciavano a convincere tutti sulla bontà delle azioni di Gerry Cardinale. Via Maldini, via Massara, via Tonali. I malumori erano tanti ed erano figli della mancanza di certezze e punti di riferimento che regnava in quei giorni tra Milanello e Casa Milan. Cardinale decide che la rivoluzione in realtà è une restaurazione. Promuove Giorgio Furlani nelle vesti di amministratore delegato e Geoffrey Moncada come capo dell’aria scouting. In quei giorni, però, prima dell’inizio vero e proprio del mercato, succede anche un’altra cosa, forse fondamentale anche per il resto del discorso che affronteremo in queste nostre righe. Stefano Pioli resta in sella sulla panchina rossonera, ma non solo. Diventa addirittura una sorta di Manager all’inglese, alla Ferguson o alla Wenger, tanto per intenderci, con poteri notevoli in sede di calciomercato e sulla scelta dei calciatori. Insomma, una sorta di supervisore tecnico da cui passano tutte le decisioni di campo. Un azzardo? Probabilmente, ma su questo torneremo dopo.
Mercato, ecco le prime crepe
Furlani e Moncada, intanto, cominciano il loro calciomercato e alla fine, il primo settembre, sono ben dieci i calciatori acquistati. Quasi tutti arrivano per una cifra che si avvicina ai venti milioni (bonus più, bonus meno). Il Milan si rifà il look, soprattutto a centrocampo. Ecco i vari Sportiello, Pellegrino, Loftus-Cheek, Musah, Reijnders, Okafor, Pulisic, Chukwueze, Romero e, nell’ultimo giorno di mercato, Jovic. Per tutti e secondo tutti, o quasi, il Milan è la regina della sessione estiva e poco importa se proprio nelle ultime ore è saltato l’arrivo di Mehdi Taremi e si è cercato di mettere una pezza con Jovic. Sì, forse il mancato arrivo del bomber iraniano abbassa di qualche voto il giudizio sul mercato rossonero, ma nessuno ha speso quanto il Milan e le scelte sembrano intelligenti, oculate e soprattutto futuribili. Bene, il campionato comincia e, derby a parte, sembra dare ragione alla dirigenza e agli opinionisti circa il mercato del Diavolo. Poi, dopo la seconda sosta, ecco arrivare due pareggi che hanno il retrogusto amaro della sconfitta, tre sconfitte tra Campionato e Champions e la sola vittoria contro il Psg in casa. Il Milan tra metà ottobre e metà novembre è un disastro. Fa una fatica immane a segnare, subisce tanti gol, pecca di carattere, cattiveria e personalità e viene devastato dagli infortuni muscolari.
Mercato, le sviste della dirigenza e le colpe di Pioli
Il giudizio sul mercato resta appeso ad un filo. Fin qui, infortuni a parte, bene Loftus-Cheek, Sportiello, Musah e Pulisic, benino Reinjders, male o malissimo tutti gli altri. Ci sarà tempo per dare giudizi definitivi su tutti e dieci gli acquisti estivi rossoneri, ma ci sono diversi dati di fatto difficili da controbattere. Al Milan manca un’alternativa a Theo Hernandez sulla fascia sinistra di difesa, manca un altro centrale di difesa affidabile, manca un mediano che poteva far riprendere Bennacer dal grave infortunio con la giusta calma e manca una punta, quel famigerato vice Giroud di cui si è ampiamente chiacchierato. Questo nonostante dieci acquisti e oltre 120 milioni investiti sul mercato. Le colpe quindi sono sicuramente da attribuire agli uomini mercato che però ne pagano pure delle altre, anche se non sono loro. Queste, infatti, sono di Stefano Pioli o perlomeno del suo staff atletico. Il Milan sembra una squadra forte, almeno nei suoi 11/14 titolari, ma non è facile per nessuno dover fare a meno di sette/otto giocatori di media a partita. Alcuni dei nuovi acquisti (Loftus-Cheek su tutti) sono fondamentali, ma hanno passato più tempo ai box che in campo. E, se al Milan va così da ormai quattro anni, cioè proprio dall’arrivo di Pioli in poi, bisogna farsi delle domande e darsi anche delle risposte. Per il resto ci sono gli errori nei cambi, nella mentalità, nel carattere che a questi ragazzi sembra ormai venir meno nei momenti decisivi. E, qui, il mercato c’entra davvero poco o nulla.