I costi del calcio stanno aumentando sempre di più e per questo torna di moda l’idea di un salary cap, ossia un tetto salariale. Come scritto dalla Gazzetta dello Sport di questa mattina, il sistema calcio è sull’orlo del fallimento: già prima della pandemia la situazione era instabile, ora è insostenibile. Il consiglio esecutivo della Uefa si riunuirà il 7 Aprile per cambiare il Fair Play Finanziario e si potrebbe parlare quindi di salary cap.
Diversi sono i modelli a cui ispirarsi: gli sport americani, soprattutto l’NBA, da una parte, la Liga dall’altra. In NBA si parla di un sitema consolidato da tempo: nasce infatti negli anni ’80, non viene introdotto per contenere i costi, ma per rendere la lega competitiva: obbligando tutte le squadre allo stesso salary cap, si dovrebbe creare un maggior equilibrio. Vi sono ovviamente delle deroghe, che però costano: la famosa luxury tax, che è una multa salatissima per le squadre che superano per 3 stagioni consecutive il tetto salariale. In Liga il quadro è completamente diverso: la soglia di spesa viene infatti calcolata dal bilancio delle varie squadre e l’obiettivo non è la competitività ma la solidità del sistema. Questo sistema ha costretto il Barcellona a grossi tagli, facendo perdere ai catalani addirittura Messi. Questo modello è più simile a quello delle Uefa, che a partire dal 2023/24 e per le successive 3 stagione abbasserà il rapporto spesa-ricavi dal 90% all’80 e infine al 70.
In Italia questo rapporto è cresciuto a dismisura, ma è molto difficile che qualcosa cambi se non si troverà un territorio comune, che si stacchi dagli interessi del singolo club. Una speranza è la Serie B, dove è stato introdotto un codice di autoregolamentazione, in cui il rapporto tra retribuzioni e valore di produzione è stato calcolato al 70%. L’obiettivo deve essere quindi quello di unire la sostenibilità e la competitività, che sia con un salary cap o qualsiasi altra cosa.