Spesso ciò che riguarda Camarda ha grande eco, sia all’interno dell’ambiente Milan che a livello nazionale. L’annuncio di Fonseca nella conferenza pre Cagliari che di fatto lancia la sua titolarità, ha creato forse più clamore di quanto fosse lecito viste le diverse indisponibilità.
Da inizio stagione Francesco è stato aggregato alla prima squadra in diverse circostanze, si è allenato sin dalla tournée americana coi ‘grandi’. Per questa ragione certamente l’allenatore rossonero ormai possiamo dire lo conosca bene. Le parole con le quali ha circostanziato la scelta delle sua titolarità, suonano di semplicità: “Non conta l’età ma conta la qualità e lui la dimostra ogni giorno. Non ha paura. Penso che in questo momento Camarda sia più pronto di Abraham a sostituire Morata con le sue caratteristiche sopratutto sulla prima pressione. Tammy non è ancora al 100%“. In questo passaggio riteniamo risieda la spiegazione che abbraccia sia tattica che emotività. Letta in questo modo si potrebbe affermare che ci sia più logica che coraggio in questa mossa.
Certo, giornalisticamente la notizia della titolarità di un sedicenne ha un suo peso. In un Paese che sta ancora affannosamente cercando un nuovo numero 9 iconico anche in chiave azzurra, ancora di più. In molti sognano possa essere proprio Camarda il nuovo talento del calcio italiano, magari un attaccante generazionale, e questa speranza è condivisa da più parti, non solo dai tifosi milanisti.
È bello pensare che questa chance rappresenti solo un piccolo step per il ragazzo. Dopo aver assaggiato scampoli di gara in campionato e persino in Champions, ora arriva la prima dal primo minuto. Non bisognerà cadere nel tranello di tracciare giudizi, indipendentemente da quella che sarà la sua prestazione.
In un mondo sempre più polarizzato e polarizzante, il club dovrà esser bravo nel proteggere il suo talento. Godersi il percorso di questo ragazzo, evitandogli eccessive pressioni. Perché lanciare giovani diventi una consuetudine anche italiana e non solo un’abitudine di altre latitudini. Perché sognare non costa nulla, perché farlo a sedici anni è appunto, normale.