Tre anni da quel giorno in cui tutto ebbe inizio. Da quando cominciammo a chiederci in via ufficiale che cosa sarebbe stato del Milan, se saremmo mai tornati grandi, se ci saremmo potuti fidare di questa nuova proprietà cinese di cui poco si sapeva e ancor meno si sarebbe saputo col passare dei mesi. Tre anni dopo, incredibile, ci poniamo praticamente le stesse domande anche se c’è un’altra proprietà, un altro presidente, altri dirigenti, altro di tutto. Yonghong Li e Han Li strinsero la mano a Silvio Berlusconi l’estate prima, qualche settimana dopo che l’ex Premier si presentò all’ingresso dell’Hotel Park Hyatt con Mr. Bee annunciando che sarebbe stato il broker il nuovo riferimento rossonero.
Fin da subito non ci vedemmo chiaro. E, in effetti, poco dopo Bee sparì tra sorrisi enigmatici e brevi scappatelle svizzere. Ecco, allora, il duo della Rossoneri Sports Investment. Stava cambiando il film, stava cambiando il Milan, stava cambiando tutto. Da Berlusconi a Li, da Galliani a Fassone, da Maiorino (sic) a Mirabelli. Un’altra storia, devastante, con tanti soldi spesi e minusvalenze che ancora stiamo pagando. Soprattutto nei bilanci. In poco più che un anno: puff. Tutto cambiato, ancora una volta: la linea poco chiara di Fassone, venuta a galla proprio in un’Assemblea dei Soci, dà il via all’era Elliott. Sempre più controversa, sempre meno sostenibile per dei tifosi che, in un anno e mezzo, sono passati da Leonardo a Boban e da Maldini a chissà chi.
Oggi sono tre anni di non-Berlusconismo, che ufficiosamente era finito da già un bel po’. Ma quel passaggio di consegne, ancora oggi nebuloso e che tanto shitstorming ha creato su Twitter, sono rimaste tante domande: in primis continuiamo a chiederci perché una proprietà così gloriosa abbia permesso che il Milan – dei Sacchi, dei Capello e degli Ancelotti – diventasse collettore di derisione sportiva. Tre anni che sono parsi dieci, a tratti quindici. Ma torneremo, non c’è dubbio. Appena qualcuno si ricorderà che questa squadra ha scritto la storia del calcio.