Il direttore di gara Daniele Doveri ha rilasciato un’intervista ai microfoni del Corriere dello Sport: “Proteste? Chi lo fa in modo istintivo e misurato sarà compreso, come sempre. Perché la frustrazione fa parte della psicologia del gioco e impone tolleranza. Chi prova a farti pressione in modo sistematico va invece avvisato con il cartellino. Tempo effettivo? Il miglior modo per scongiurare l’ostruzionismo“.
Sui contrasti di gioco e la gestione: “L’idea è quella di separare di più il fallo dal contatto di gioco, ma non dipende solo da noi. Per numero di falli siamo allineati a Champions e calcio inglese. L’indicazione è quella di non sanzionare tutti i contatti ma l’obiettivo di uniformarci al calcio inglese deve essere condiviso da tutte le parti. Io non entro in campo con il proposito di fischiare poco o tanto. Devo mettermi in connessione su come sarà la partita e su come la interpretano i calciatori, sono loro alla fine che decidono quanti falli devo fischiare. Se lascio giocare un contrasto duro, e mi ripeto in quello successivo, e poi la terza volta si spaccano una gamba, vuol dire che non sono sintonizzato con la partita. Se invece lascio andare qualche contatto vigoroso e percepisco che i calciatori accettano di confrontarsi fisicamente, ma in maniera leale, allora posso proseguire su quella strada. Il fatto è che nessuno ti dice che non spezzerà la gamba all’avversario, devi intuirlo da come gli atleti interpretano la gara, e anche da come si rialzano dopo essere caduti per terra“.
E conclude: “C’è un codice culturale che fa una strana microfisica del potere. È quella che decide quanto è possibile abbassare l’asticella del controllo. L’arbitro deve saperla leggere, ma non la impone solo lui. Se la tensione cresce, i colpi si fanno più duri, le proteste s’infiammano, tu devi smorzare i toni, perché il compito dell’arbitro è anche quello di proteggere l’incolumità dei calciatori“.