Qualcuno non ha gradito le parole di Arrigo Sacchi su Rafael Leao. Opinionista della Gazzetta dello Sport ma soprattutto leggendario allenatore milanista, ha dichiarato: “Leao? Con me non giocherebbe. Io prima di prendere un giocatore guardavo molto la persona. E se non nasci con un certo temperamento, è difficile acquisirlo. Leao avrebbe tanto, tantissimo, e credo sia assolutamente un bravo ragazzo. Nel calcio però si gioca in undici, tutti devono correre e avere una posizione sul campo. Da noi correvano tutti“.
Non si può nemmeno discutere con Sacchi di calcio, perché Arrigo manderebbe tutti a lezione ed avrebbe ragione. Ma si può essere in disaccordo, certo. Perché Rafael Leao non è più il ragazzino arrivato dal Lille che aveva bisogno di giocate personali per attirarsi i media. Ormai i riflettori ce li ha addosso, ed anche da tempo. E, a differenza di altri giocatori, questo successo ha avuto un proseguimento positivo: lo ha fatto maturare.
Rafael Leao è quel capitano a cui manca la fascia permanente. Rafael Leao corre, crea, e pensa al successo della squadra, magari inciampando su qualche colpo di tacco invece apprezzato da altri campioni (Ibrahimovic docet). Rafael Leao se non segna cerca l’assist: è il miglior playmaker della squadra e non è neanche centrale. La persona? Umile e voglioso di crescere, anche se vivendo nel mondo del calcio moderno è impossibile non fare lo show. Il Milan di questa stagione, poi, gioca in 11. Tutti corrono, tutti hanno una posizione precisa in campo. Leao compreso.
Il portoghese ha sempre assimilato le critiche, facendole sue. I consigli arrivati da un allenatore con un certo palmarès possono aiutarlo, ma il suo modo di giocare si è completato anno dopo anno. Le mani sui fianchi? Un brutto ricordo di un leader ventiquattrenne.