C’è un dato che fa riflettere più di ogni altro: nonostante la rivoluzione portata avanti da Giorgio Furlani e dal management rossonero con 34 operazioni in uscita, il monte ingaggi del Milan è rimasto sostanzialmente invariato. Una fotografia che mette in discussione la reale utilità di uno dei mercati più radicali della recente storia rossonera.
Il monte ingaggi del Milan e una rivoluzione senza precedenti
Mai negli ultimi anni si era vista una simile ondata di cambiamenti. Il Milan ha salutato, tra risoluzioni, prestiti e fine contratto, giocatori che hanno fatto parte dello zoccolo duro della rosa. Florenzi, Jovic e Vasquez non vestono più la maglia rossonera, mentre Walker, Abraham, Joao Felix e Sottil sono tornati alle rispettive squadre di appartenenza. A questi si aggiungono le uscite a titolo definitivo, ben undici, e i prestiti di giovani di prospettiva come Camarda, Zeroli, Bondo e Musah. Una rivoluzione numerica, quasi contabile, che avrebbe dovuto produrre effetti immediati sulle spese fisse.
E invece il risultato è un paradosso: tanto movimento, nessuna variazione significativa.
Gli acquisti che pesano
Il Milan non si è limitato a sfoltire la rosa. Anzi, ha investito su profili di alto livello come Rabiot e Nkunku, entrambi con un ingaggio netto di 5 milioni di euro, che incidono pesantemente sul bilancio. Insieme a loro sono arrivati Estupiñán, De Winter, Jashari, Ricci e Pietro Terracciano, oltre a colpi low cost ma simbolici come Luka Modric, preso a parametro zero. Una campagna acquisti che, secondo i dati riportati da Calcio e Finanza, porta il totale tra ammortamenti e stipendi a circa 90,63 milioni di euro.
Il paradosso è servito: i sacrifici sul fronte delle cessioni non hanno generato un risparmio sostanziale, perché il Milan ha reinvestito immediatamente su nuovi innesti, mantenendo invariata la massa salariale.
La linea di RedBird
Da quando RedBird Capital ha acquisito la maggioranza del club nel maggio 2022, la politica societaria è stata chiara: equilibrio finanziario, sostenibilità e gestione razionale dei conti. Il monte ingaggi, a differenza di altre big italiane spesso ingolfate da stipendi fuori scala, è rimasto su una linea costante. Un elemento che certifica la serietà del progetto ma che, al tempo stesso, lascia interrogativi sul senso di operazioni così drastiche.
Perché se il monte ingaggi non cala, i tifosi si chiedono: tutto questo sacrificio è stato davvero necessario?
Il punto di vista dei tifosi
I numeri, di per sé, raccontano un club stabile ma non più leggero. E i tifosi, che guardano sempre con occhio critico alle strategie del management, percepiscono il rischio che la rivoluzione sia stata più un esercizio contabile che un reale passo avanti verso la competitività. «Abbiamo perso volti noti, ma i costi restano uguali» è il sentimento che corre tra le curve e i social.
Il campo, come sempre, sarà l’unico giudice. Ma la fotografia attuale restituisce un Milan che, nonostante i cambiamenti, resta con lo stesso peso economico di prima, senza il vantaggio di un monte ingaggi alleggerito che avrebbe potuto garantire maggiore flessibilità nelle prossime finestre di mercato.
Un Milan ancora in cerca di identità
La domanda resta sospesa: questa rivoluzione rappresenta un punto di svolta o soltanto un restyling che non ha prodotto effetti tangibili sui conti? La risposta arriverà solo dai risultati sportivi. Perché se gli arrivi di Rabiot e Nkunku porteranno qualità e leadership, allora i tifosi saranno disposti a perdonare la scelta di non abbassare i costi. Se invece il campo non darà soddisfazioni, il sacrificio delle 34 cessioni rischierà di essere ricordato come un passaggio a vuoto nella storia recente del club. Ma, alla fine, il giudizio ultimo lo darà sempre ed esclusivamente il campo, dal quale i tifosi sperano di poter avere delle buone notizie.