Il tecnico del Milan Primavera Ignazio Abate ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Sportitalia per la rubrica “Mister si nasce“. Ecco le sue dichiarazioni.
“Sono nato con un pallone in mano grazie alla professione di mio padre che mi ha trasmesso questa passione per tutta la mia esistenza. Ero un bambino abbastanza vivace, sempre con una palla in mano insieme a mio fratello. Specialmente l’estate restavo in giro dalla mattina alla sera per giocare a calcio“.
Sulla sua passione per il calcio: “Ho vissuto tutto con molta spensieratezza e leggerezza grazie anche ai miei genitori. Poi entrando nel settore giovanile del Milan, inizi a pensare che possa diventare la tua professione. Non l’ho mai però vissuta come un lavoro, ho sempre pensato a divertirmi e viverla a 360 gradi con grande passione. Poi è diventata la mia professione ed è probabilmente la più bella del mondo. Penso che le proprie passioni ed i propri hobby siano innati. Io ci sono nati così e me la sono goduta finché ho potuto, ho dato il massimo e non ho rimpianti: è stato un viaggio bellissimo“.
Su Galliani: “I primi pensieri per Adriano Galliani risalgono a quando mi fece i complimenti in una finale scudetto allievi contro la Roma. Passai in Primavera nella stagione successiva e dopo pochi mesi in prima squadra. È stato tutto molto veloce e con lui mi lega un rapporto di grande affetto e stima. Mi è sempre stato molto vicino, era il club più titolato al mondo con una squadra incredibile: era il massimo del massimo per un giovane cresciuto qui. Mi ha accompagnato per tutta la mia carriera, seguendomi anche quando andai in prestito. Fu tutto velocissimo: passai in prima squadra dopo l’addio di Rivaldo e dopo pochi giorni c’era la Coppa Italia contro la Samp al Marassi. Non pensavo minimamente di poter subentrare. Quando Tassotti mi disse di slacciare il giaccone e di scaldarmi, rimasi due minuti a cercare di farlo con Nesta che mi guardava. Dopo pochi giorni ci fu anche l’esordio in Champions: realizzavo poco in quel momento e fu pure l’anno dello scudetto“.
Sui suoi inizi in prima squadra: “Il Milan in quel momento era la squadra più forte al mondo, con una concorrenza incredibile. Era un sogno indossare quella maglia e c’era un gruppo di un altro pianeta. Il salto era tanto grande tra Primavera e prima squadra, non ci pensavo minimamente di rimanere in pianta stabile. Era giusto fare il mio percorso di crescita per maturare. Ora i giovani pretendono tutto e subito: si prendere un po’ quella magia nell’ottenere le cose. Ma ci vuole sempre tanto sacrificio ed il passaggio in categorie inferiori serve a farti le ossa. C’è sempre qualche eccezione, ma non è una vergogna fare la gavetta e giocare in campionati inferiori. Si capiscono tante cose e vedi aspetti diversi rispetto alla Primavera“.
Su Gattuso e Ibrahimovic: “Quando tornai in pianta stabile al Milan, ma già appena salito in prima squadra, mi avevano preso in simpatia. Mi hanno accolto benissimo. Hanno visto la mia bontà, la mia umiltà: mi hanno aiutato dal primo giorno. Sono stati grandi campioni specialmente nella vita, oltre che nel calcio. Rino è stato il mio esempio da seguire per come interpretava questa professione. Quel gruppo viveva per questo lavoro e per ottenere risultati la domenica: era un gruppo unito, tutti si volevano bene. Poi ovviamente qualche schiaffone da Rino l’ho preso, ma è stata una fortuna averlo nel mio percorso, anche come allenatore. Con Ibra è nata un’amicizia molto semplice molto naturale, che è cresciuta col tempo: poi il destino ha voluto dividerci e per fortuna ora è tornato qui. I momenti più belli erano quando, in ritiro, restavamo a tavola a prenderci in giro. Il capobanda era Pippo (Inzaghi, ndr) perché raccontava tutti gli aneddoti. Era bello perché eravamo un gruppo affiatato con tanta voglia di restare insieme“.
Su Nesta: “Sandro è stato fondamentale nel mio percorso di crescita. Giocando insieme a lui ho avuto tanta consapevolezza. Ho iniziato a vedere tante piccole cose in modo diverso. Ho avuto bisogno di lui per crescere: è stato un punto di riferimento. È un ragazzo particolare, dal cuore d’oro“.
Sull’allenatore al quale si è più legato: “Ancelotti mi ha fatto maturare. Reja mi ha aiutato tantissimo. Leo mi ha consacrato in una grande squadra. Con Allegri ho vinto lo scudetto. I miei ex compagni con cui sentivo ancora più responsabilità. Sinisa (Mihajlovic, ndr) mi ha fatto crescere dal punto di vista umano. Non posso sceglierne uno…sono tanti”.
Sul saluto di San Siro il giorno del suo addio: “No non me lo sarei aspettato. Sapevo di dover lasciare il Milan, anche se speravo fino all’ultimo di far ricredere la società. Fu Rino che lo comunicò nella conferenza pre partita. Soffrivo di pubalgia e le ultime settimane mi allenavo solo il sabato, non uscivo per tutta la settimana. Quella settimana, fino a venerdì, stavo malissimo. Il sabato mattina pensavo di non rimanere in ritiro perché stavo molto male. Verso mezzogiorno pensavo di dover andare a casa. Ma Rino (Gattuso, ndr) mi ha detto ‘cambiati che domani giochi’. Se ho vissuto quella giornata è merito suo“.
Sul suo ritiro: “E’ stato un periodo stranissimo. Avevo sottovalutato il problema fisico. Ero convinto che stando fermo sarei risucito a mettermi a posto. Erano arrivate tante offerte per me, ma non mi sentivo pronto mentalmente per un’altra esperienza in Italia, volevo andare all’estero. Sono stato vicino ad una società in Premier e ad un club spagnolo. Volevo andare in Inghilterra ma, all’ultimo, non me la sono sentita perché non stavo bene fisicamente. Mi sono operato dopo un mese e mezzo e ho fatto cinque mesi ad allenarmi, ma non mi sentivo benissimo. Sono arrivate altre offerte in estate, da campionati inferiori, ma ho deciso di smettere. Per un anno non lo accettavo. Poi ho pensato di intraprendere la carriera dirigenziale, volevo scoprire nuovi talenti… Poi è arrivato il corso di allenatore ed è stato un colpo di fulmine“.
Sul suo primo anno: “Ho avuto l’opportunità di ripartire. Ed è stato un anno bellissimo, che mi ha legato dal punto di vista umano ai ragazzi. Ho avuto la fortuna di iniziare con la fascia d’età perfetta. Penso che con quel gruppo resteremo legati per sempre. Loro sono un libro aperto. È stato bello accompagnarli tutto l’anno e magari, in futuro, li ritroverò“.
Sull’allenatore di riferimento: “Non mi ispiro a nessuno perché tutti mi hanno lasciato qualcosa: il carisma di Rino e Sinisa, il carattere di Leo, la gestione dello spogliatoio di Allegri. Spero di poter prendere il meglio da tutti. Poi, ovviamente, dal punto di vista calcistico ho l’idea di calcio che piace a me. Credo che De Zerbi sia il top in Europa. Ho avuto la fortuna di stare a stretto contatto con Pioli dal quale ho imparato molto perché ha fatto qualcosa di straordinario. Sono propenso ad un calcio di qualità, un calcio intenso“.
Sul valore della famiglia: “Sono padre di quattro figli. Sono felicissimo perché penso che la famiglia sia il pilastro di ognuno di noi: senza famiglia è dura. Ti danno la forza ogni giorno. Ed i bambini sprigionano forza da tutte le parti, anche se non è facile seguirli. Ma per amore si fa di tutto“.
Su Pazzini: “Ragazzo d’oro a cui sono legatissimo, un ragazzo puro. Ci siamo trovati subito, un compagno eccezionale e un giocatore di altissimo livello. Sono quei legami difficili da spiegare. È un bene che va al di là di tutto. Abbiamo casa a Milano nello stesso condominio e ci sentiamo spesso“.
Sulla professione di allenatore: “Forse si nasce in un senso, ma si diventa in un altro. Qualcosa dentro la devi avere dalla nascita. quindi diciamo che siamo 50 e 50“.
Sulla Primavera attuale: “Noi giochiamo con un 4-3-3. Abbiamo degli esterni che sono finti trequartisti a cui piace molto entrare dentro al campo. Non lavoriamo su cose decodificate, ma su principi e l’occupazione dello spazio. Sono contento dei ragazzi perché stanno crescendo e stanno interpretando alla grande il mio modo di vedere il calcio. Speriamo che ci diano grandi soddisfazioni in futuro. Terzini? Cerco di dare delle indicazione, ma non voglio snaturarli. Nella rosa di quest’anno sono molto diversi tra loro: Bozzolan è un ragazzo di fascia a cui piace andare sul fondo, Bakoune ha letture diverse e gli piace entrare dentro al campo per giocare“.