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Lezione di sprechi e disattenzioni: il Milan fa scuola a Lecce. Squadra e Pioli, quando la gestione delle partite diventa un tabù

Non c’è scusante che tenga: 3 sconfitte, 2 pareggi ed una vittoria dalla sosta di ottobre a quella di novembre è un ruolino di marcia agghiacciante per il Milan. I propositi di fine mese scorso erano ben diversi al rientro dallo stop per le nazionali: in 20 giorni o poco più, il sogno seconda stella è sempre più un miraggio e la qualificazione agli ottavi di finale di Champions League resta complicata, nonostante il grande successo interno contro il PSG, l’unico acuto dell’ultimo periodo.

Il segnale allarmante del Via del Mare è lo stesso del Maradona, due settimane fa: la squadra e l’allenatore non sanno gestire il vantaggio acquisito grazie ad una buona (o ottima) prestazione nel primo tempo. L’aggravante: il vantaggio era doppio in entrambi i casi. L’aggravante alla seconda: il gol preso contro il Lecce è la fotocopia di quello preso contro il PSG 4 giorni prima. L’aggravante alla terza: sia contro il Napoli che contro il Lecce la squadra è andata vicinissima alla sconfitta. E allora ci chiediamo: è mancata l’intelligenza dei giocatori nell’interpretazione della partita o c’è stata incapacità dalla panchina di saperla leggere? La risposta, ci sentiamo di dire, sta nel mezzo.

Una frenesia inaudita di verticalizzare e allungarsi sul campo senza criterio in una posizione di comodo vantaggio nel risultato: cercare il terzo gol è una cosa, scomporsi e regalare contropiedi agli avversari sullo 0-2 è un’altra. Allo stesso tempo, però, quando si arriva nell’area avversaria in una situazione di tre contro uno a favore, sebbene ci sia un contatto tra il braccio del difendente ed il pallone nel tackle (e la chiamata VAR?), non è ammissibile sprecare l’occasione incaponendosi in un’azione personale con due compagni liberi di ricevere a centro area. Falcone è sì bravo a respingere anche un tiro di Okafor nella ripresa, ma la chance di Theo Hernandez che sfugge agli highlights grida vendetta.

Così come grida vendetta la mossa, a posteriori più facile da commentare, di Musah terzino destro. La logica di inserire un giocatore più di gamba rispetto a Florenzi per contenere la velocità di Banda è comprensibile, ma la domanda che sorge spontanea è una sola: se lo statunitense non era nello stato psicofisico adatto per iniziare il match, perché buttarlo nella mischia in un ruolo già ricoperto in carriera, ma cruciale nell’economia di questa partita? Perché non optare a quel punto per un doppio cambio e coprire l’ingresso di Florenzi proprio con Musah in raddoppio, ma nella sua posizione di campo preferita? E perché non dare una scossa alla squadra dopo il gol dell’1-2 che fa evocare fantasmi del recente passato, sia per i modi (gol del PSG) che per i tempi (rimonta Napoli), modificando immediatamente qualcosa visto lo sviluppo gara oramai cambiato?

Tante domande, poche risposte. Resta l’amaro in bocca ad un Milan euforico appena un mese fa alla sosta di ottobre per la vittoria rocambolesca al Ferraris di Genova e oggi depresso per un periodo che era difficile immaginare peggiore. La pausa arriva nel momento giusto per riflettere. E per gestire un doppio vantaggio, ecco una lezione con un allenatore in rampa di lancio in categoria inferiore che reagisce così sul 2-0 a favore in un momento di poca concentrazione. Perché una reazione è d’obbligo, sia dai giocatori sul prato verde che dall’area tecnica della panchina.

Milan: Stefano Pioli (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)
Milan: Stefano Pioli (Photo Credit: Agenzia Fotogramma)

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