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11 come Ibrahimovic, 11 come i titolari: Pioli ha trovato la soluzione all’incertezza

Il Milan è cresciuto con Stefano Pioli e Stefano Pioli è cresciuto con il Milan. Un po’ un rapporto dare-avere, nel quale entrambi gli attori in causa hanno tratto giovamento. Ma non ditelo al mister, lui pensa alla squadra, non alla sua reputazione personale. Arrivato al Milan in punta di piedi, tra chi lo voleva via da Milanello ancora prima di arrivarci e chi, pochi, lo hanno voluto aspettare.

Al di là dei fattori già tante volte trattati, in questo breve spazio il focus vorrebbe essere quello sulle scelte che fin qui ha fatto Pioli. Nel corso di quest’annata il tecnico emiliano ha trovato il bandolo della matassa, ha trovato quell’11 tipo che si può chiamare titolare. Ben sappiamo che Pioli non ami parlare né di singoli né di titolari, perché per lui, giustamente, la squadra non è formata solo da 11 giocatori. Tuttavia, ce ne vorrà il mister, un’analisi sulle sue scelte è doverosa per fare anche ragionamenti più specifici.

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La catena degli 11 motivi per gli 11 uomini

  • Continuità: con quella di questa sera, saranno 4 le gare consecutive in campionato nelle quali sono stati schierati gli stessi 11 uomini (teniamo contro anche della Roma nonostante ci fosse Tatarusanu al posto di Donnarumma causa Covid-19). È un po’ il discorso che va fatto anche per i progetti: dare continuità ad un’idea alla fine paga (Gasperini, Klopp ecc.);
  • Fiducia: più un giocatore trova continuità, più un giocatore è in fiducia. L’esempio lampante è Davide Calabria, che ha sentito la fiducia di Pioli è lo sta ripagando a suon di prestazioni eccellenti. Il calcio è anche una questione mentale, per quanto possa essere una banalità una tale affermazione;
  • Convinzione: ancor più banalmente la conseguenza del sentire la fiducia, sia dell’allenatore che dell’ambiente, è la crescita della propria convinzione. Quella convinzione di essere un giocatore importante, di essere dentro al progetto, di avere delle qualità da dimostrare;
  • Responsabilità: la conseguenza dei primi tre fattori è chiaramente l’assunzione di ancor più responsabilità. Ricordiamo che la rosa rossonera è formato perlopiù da elementi molto giovani, lo dimostra anche la squadra titolare, nella quale sono presenti solamente Ibrahimovic e Kjaer con più di 30 anni. Responsabilizzare i giovani passa anche dal fornirgli le occasioni per farlo;
  • Intesa: giocando sempre con gli stessi compagni non può che giovare alla ricerca dell’affinità fra di loro. Gli esempi sono quelli sotto gli occhi di tutti: Kessie-Bennacer, Kjaer-Romagnoli, Calabria-Saelemaekers, Theo-Rebic (con Leao serve ancora del tempo), Calhanoglu-Ibrahimovic. Tutti hanno trovato la propria comfort zone e sanno come interagire l’uno con l’altro, sanno i punti deboli ed i punti forti del compagno;
  • Qualità: di pari passo con la crescita del minutaggio, è cresciuta anche la qualità delle giocate nella squadra di Pioli. Prendiamo Saelemaekers, ancor nella prima di queste 4 gare, quella contro l’Inter. Sul secondo gol di Ibrahimovic, l’azione parte da una giocata eccezionale proprio del belga, che si libera di Brozovic e fa partire il contropiede rossonero;
  • Quantità: sentire la fiducia del proprio allenatore non fa che accrescere lo stimolo del giocatore, la voglia di sacrificarsi per la causa;
  • Risultati: con i titolari sono arrivati tanti risultati convincenti. La crescita della squadra, dovuta anche alla continuità che le viene data, è direttamente proporzionale alla crescita dei risultati. Più i giocatori sono messi a loro agio, più sono in grado di rendere al meglio e quindi trovare riscontri positivi anche per quel che riguarda le vittorie;
  • Competitività: è necessario anche un breve discorso sulle cosiddette “riserve”. Chiaramente risentono di quest’etichetta e possono reagire anche in malo modo. Qui sta la bravura dell’allenatore, nel far sentire tutti parte del progetto, trovare il momento giusto per dare loro delle possibilità. Da queste può nascere un fuoco nuovo, un furore competitivo per far sì che chi di dovere possa cambiare idea. La competitività in una squadra non può che far bene, perché fa crescere ancor di più il rendimento dei suoi componenti;
  • Variabilità di soluzioni: quello schierato da Pioli è un 11 capace di garantire una vasta gamma di soluzioni nel gioco. La palla lunga ad Ibrahimovic che cerca la sponda può esserne una, i cross dalla destra di uno tra Saelemaekers e Calabria possono esserne un’altra, il dribbling in velocità di Leao a saltare l’uomo un’altra ancora, le percussioni di Theo, i calci d’angolo, le punizioni dirette in porta: tutti buoni modi per impensierire gli avversari, un mix delle peculiarità dei giocatori che possono far sì che il Milan rimanga imprevedibile;
  • Spunti passati e presenti: guardare al passato non fa mai male, soprattutto per prenderne spunto e fare dei confronti, azzardati talvolta. In questo caso, un argomento a sostegno della tesi è quello che vede i Milan del passato. Prendiamo ad esempio il Milan di Ancelotti che vinse tutto. Dida; Cafu, Maldini, Nesta, Serginho; Gattuso, Pirlo, Seedorf; Kaka; Inzaghi, Shevchenko. Si cambiava, certo, ma la formazione tipo era questa. Un altro esempio può essere il Liverpool dell’anno della vittoria della Champions League, 2018/19. Alisson; Alexander-Arnold, Van Dijk, Lovren/Matip, Robertson; Wijnaldum, Henderson, Fabinho; Salah, Firmino, Mane. Insomma, trovare una conformazione quasi definitiva può aiutare, come dimostrato dagli esempi.

Con questo s’intende dire che Pioli ha trovato l’11 con cui vincerà la Champions League, anzi. Il punto è semplicemente il fatto che il tecnico rossonero è riuscito a trovare delle certezze ed a far coesistere i giocatori l’uno con l’altro, creando un meccanismo ben collaudato. Chapeau.

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