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Nesta: “Milan, la Champions è un’impresa. Per puntare in alto serve investire sui giovani e…”

Alessandro Nesta ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni dell’inserto settimanale della Gazzetta dello Sport, Sportweek. Spazio anche per delle dichiarazioni sul Milan: ecco le sue parole.

Di Milano ho ricordi stupendi, ci ho passato 10 anni anche se all’inizio non volevo starci. Né a Milano, né al Milan. Sarei rimasto alla Lazio e a Roma a vita perché, con tutti i suoi difetti, resta la città più bella del mondo. Ma dopo i primi 6-7 mesi mi sono ambientato a Milano e sono stato da dio“.

Su cosa fece scattare la scintilla con il Milan: “Soprattutto l’orgoglio. Non potevo tradire la fiducia di un club che mi aveva voluto così tanto, tirando fuori un sacco di soldi e facendomi un contratto di tre anni più uno“.

Su Ancelotti: “Un secondo padre, un allenatore che ti fa vivere bene anche se pretende molto. Per lui avrei fatto di tutto. È uno che non abbandona i giocatori, anche se fanno male. È una spugna che assorbe i problemi lasciando tranquilla la squadra. Berlusconi e Galliani erano gente abituata a vincere, che sicuramente premeva sul mister. Eppure lui arrivava al campo col sorriso“.

Su Maldini: “Mi ha insegnato a vivere il calcio in una certa maniera. A Roma ero abituato ad affrontare la professione in modo istintivo. Paolo mi ha fatto capire come si arriva ad alto livello: col lavoro, la costanza e superando gli errori. Capitava anche a lui di sbagliare, ma ci passava sopra. Era una macchina da guerra“.

Su Shevchenko: “Nelle grandi partite segnava sempre. Mentre ad altri tremavano le gambe, lui si esaltava“.

Sul suo Milan: “Pirlo da solo faceva l’ottanta per cento della squadra. Uno dei più grandi coi quali ho giocato. Gattuso: lo porterei in vacanza e lo vorrei con me in campo perché sai che non ti tradisce. Nelle difficoltà lui c’è. Poi Billy Costacurta: sotto quella giacchetta elegante si nasconde un piacchiatore“.

Sull’amico del cuore: “Pirlo. Stavamo sempre insieme, pure in camera nei ritiri. La nostra era l’unica stanza doppia sia a Milanello sia in Nazionale. Serioso? Ma quando… scherza, prende in giro, è ‘nfame proprio. Fa ridere, è amico di tutti“.

Sulla Champions più importante vinta: “La prima, quella del 2003. Per l’avversario, la Juve, e per lo stadio, l’Old Trafford di Manchester: in uno così bello non avevo mai giocato. Vincemmo ai rigori e uno lo segnai io. A Manchester, al momento di scegliere i rigoristi, nessuno vuole battere. Io alzo la mano, Ancelotti mi fa: te la senti? I primi a tirare sbagliarono tutti, soprattutto gli juventini. Penso: se sbaglio io che sono un difensore magari se lo scordano pure. Guardo Buffon fino alla fine aspettando che si muova, invece quello resta fermo come un sasso. Tiro un piattone che Gigi sfiora appena. Fu una liberazione“.

Sulla beffa di Istanbul: “Negli spoglistoi ci ripetevamo di stare sul pezzo, altro che festeggiare. Poi è successo tutto troppo in fretta: 3 gol presi in un quarto d’ora. Non avemmo il tempo di riorganizzarci. Quella sera ho creduto nel destino“.

Sul ritorno in Champions del Milan: “Impresa. È stato fatto un grande lavoro da parte di tutti. Dopo Berlusconi il Milan ha cambiato due volte proprietà e dirigenza: vuol dire ripartire quasi da zero, con giocatori presi da altri ma che devi tenere perché hanno 3-4 anni di contratto“.

Su Pioli: “Mi piace il gioco. Si è basato su quello con chiarezza di idee. Ma non ho mai pensato che potesse vincere lo scudetto perché è una squadra giovane e la rosa non era abbastanza competitiva. Se manca Ibra, non ce n’è un altro simile“.

Su cosa serva per puntare più in alto: “Continuare a investire sui giovani, inserendo ogni anno un giocatore importante. Ma più della squadra, conta la società e la sua capacità di trasmettere i valori antichi. In questo senso, la gestione dei casi Donnarumma e Calhanoglu è stata giustissima, da Milan di una volta“.

Su Donnarumma: “La differenza rispetto ai miei tempi sta nel Milan stesso: allora io ero già al top, non c’era niente di meglio del Milan. Ora il Milan non è ancora a quei livelli, dove stanno Manchester City e PSG e se Donnarumma decide di andare in una delle due, io non mi permetto di giudicare. Ha fatto male? Sono cose sue, vedrà lui. Piuttosto, servono regole per disciplinare i trasferimenti: salary cap e paletti alle commissioni dei procuratori perché tante società si comportano come uno che ha dieci euro nel protafogli e pretende di comprare vestiti che costano mille“.

Alessandro Nesta - Milanpress, robe dell'altro diavolo
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