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Maldini: “Talvolta il calcio moderno mi annoia. Sarei potuto essere il miglior terzino sinistro se…”

Paolo Maldini ha rilasciato una lunghissima intervista a France Football, dopo la premiazione per la sua presenza nel miglior XI di sempre. L’odierno dirigente rossonero ha parlato della sua carriera e del ruolo del terzino. Ecco le sue parole.

I punti di riferimento di Paolo Maldini

I brasiliani fanno la differenza dagli anni ’50. Per noi, italiani, Giacinto Facchetti è stato un precursore, un laterale che spingeva molto. È complicato, del resto, trovare un laterale destro italiano di questo profilo, perché abbiamo giocato per molto tempo con un libero, due stopper che dovevano marcare a uomo e un laterale sinistro che spingeva. Il difensore destro era confinato alla marcatura, come Beppe Bergomi, che non era un fluidificante, perché non gli è mai stato chiesto di farlo. È Nils Liedholm che ha cominciato a imporre questo profilo a destra, con Sebino Nella e Francesco Rocca alla Roma, poi Marco Tassotti al Milan. Non possiamo identificare come una specialità italiana il terzino destro, ma quello sinistro sì, assolutamente“.

Antonio Cabrini è stato uno dei miei punti di riferimento, Andreas Brehme era ambidestro come me e aveva la possibilità di rientrare sul piede forte senza difficoltà. Junior ha giocato in diverse posizioni e faceva la differenza in tutti. L’ho pure ritrovato su un campo di beach-soccer più avanti a Miami! La storia di Roberto Carlos all’Inter fa riflettere: è stato messo da parte con il pretesto che difendeva male, ma non era vero. Era un giocatore difficile da sorprendere nell’uno contro uno. E, come molti giocatori di questa generazione olandese, Rudi Krol poteva cambiare diverse posizioni. Io l’ho conosciuto come libero a Napoli, ho quindi pochi ricordi di lui come laterale mancino“.

Su Tassotti: “Il Mondiale del ’78 è il primo che ho visto in tv e la storia di Cabrini era molto bella. Era giovane, aveva un look sacro ed era stato fantastico! Al Milan, mi sono ispirato a Tassotti: non aveva un grande fisico, ma una tecnica sopraffina. Mi ha entusiasmato nella sua interpretazione del ruolo. Ho sempre pensato che la tecnica, più della forza, poteva offrire una via d’uscita nelle situazioni complicate“.

Altre fonti d’ispirazione: “Hans-Peter Briegel, dell’Hellas Verona e della Sampdoria, arava il terreno! Il parmigiano Alberto Di Chiara, che ho conosciuto in Nazionale. Era un’ala all’inizio, era un profilo molto tecnico e rapido. Infine c’è Roberto Carlos che ha scritto la storia, con i suoi gol incredibili. Bixente Lizarazu era anche lui un gran giocatore. Difendeva, ma quando aveva spazio, attaccava anche. Non spingeva costantemente. Ciò mi ricorda Capello che mi diceva: ‘Spingi tutte le volte che vuoi, ma ricordati che devi avere la forza di ritornare’. Ma la priorità era difendere”.

La sua carriera al Milan

I suoi primi passi: “Ho passato il provino per entrare nella formazione del Milan come ala destra. Dopo quattro anni, a causa di un infortunio di un mio compagno, credo, sono arretrato sulla destra e mi è piaciuto. Due anni più tardi, facevo il mio debutto in Serie A, sempre in questa posizione. È stato tutto molto veloce! In U20 con Fabio Capello, avevo delle consegne offensive, non ero che un laterale consacrato che alla marcatura. Si giocava sulla stessa linea, non c’era differenza tra i due laterali. Poi, l’anno successivo, il posto di laterale sinistro era libero e Liedholm mi ha fatto giocare lì. Era la posizione difensiva che richiedeva meno specificità. Certo, non ero sulla destra, ma non era un problema giocare sulla sinistra“.

Dal secondo anno, ho talvolta rimpiazzato Baresi in difesa, per poi tornare a sinistra. Paradossalmente, dopo dieci anni su quella fascia, Capello, che ho ritrovato in squadra, mi ha spostato a destro, perché Christian Ziege era stato preso per la sinistra. Ma io non mi sentivo a mio agio, ero troppo abituato ad affrontare l’avversario avendo la linea sulla mia sinistra, era un problema di torsione. Invece, da difensore centrale, non avevo alcun problema a giocare sul centro-sinistra o sul centro-destra“.

Sulle sue caratteristiche: “Ero destro, ma facevo molte cose anche con il mancino, il controllo, il passaggio. Ero un vero terzino sinistro. Ad ogni modo, come successe con le ali a piede invertito, in non molto tempo, sarebbe stato la stessa cosa per i terzini, perché la necessità di trovare gli spazi non poteva essere limitata ad una sola fascia. Nel calcio moderno, penso che i giocatori che hanno più spazio sono i laterali e quelli a piede invertito offrono grandi vantaggi“.

Arrigo Sacchi – MilanPress, robe dell’altro diavolo

Il rapporto con Sacchi

Il caso dei Mondali del ’90, io a sinistra, Ferri e Bergomi come centrali e Baresi come libero. Lui occupava le funzioni del terzino destro, faceva il numero 8, il centrocampista difensivo. Ciò è cambiato con Arrigo Sacchi al Milan, voleva sempre almeno 3 difensori dietro. Se spingevo, il laterale destro doveva comporre una linea a 3 con i due difensori centrali. Oggi i due sono sulla linea di centrocampo. C’è un’evoluzione continua, non si parla più di ere, ma di anni, talmente va veloce. Io ho sempre considerato il terzino come un difensore che deve attaccare, ma la percezione di questa posizione è oramai differente“.

Sulla sua capacità aerobica: “Sì, paradossalmente, non era il mio forte. Ero più uno sprinter, avevo una corsa molto intensa e un piccolo momento di recupero, era perfetto per quando facevo il difensore centrale. Grazie a Sacchi, o a causa sua, non so mai quale delle due, è stato effettuato un enorme lavoro aerobico, e mi ci sono abituato. All’epoca, non c’erano gli apparecchi che tenevano controllati i dati, ma penso di aver disputato il 95% della mia carriera con le pulsazioni a più di 190 ed erano naturalmente troppo elevate! Ho sempre avuto la sensazione di avere il cuore in gola. Inconsciamente o consciamente, ho sempre voluto fare il match perfetto, ma, a sinistra, era impossibile non sbagliare nulla, il carico di lavoro ed il campo d’azione sono troppo importanti“.

Su Sacchi: “Sacchi chiedeva sempre di fare attenzione, facendo le famose diagonali, per coprire un centrale. Ogni giocatore doveva attaccare lo spazio! Tutti, esclusi i difensori centrali. Era il suo dogma ed il più grande insegnamento: non voleva che i suoi giocatori andassero verso il portatore di pallaCon Sacchi i quattro difensori erano molto chiusi. Se c’era un cambio di gioco, dove guardare quando il lancio partiva, ma anche l’uomo verso il quale dovevo dirigermi, rapidamente! Ciò richiedeva attenzione, il senso della posizione e la velocità. Era uno dei miei punti forti, questa grande capacità di controllare queste cose. Era qualcosa di innato“.

Le marcature ed i sistemi di gioco

Sulle tipologie di marcature: “Tranne Baresi, tutti avevano almeno un uomo, una zona. Non avevo mai avuto grosse difficoltà, perché il terzino sinistro aveva la libertà di restare sulla sua fascia, indipendentemente dal tipo di avversario. E le ali destre restavano anche sul loro. Ciò funzionava con i numeri: il numero 3 prendeva il 7, il 2 l’11, il 5 il 9 ecc. La prima volta dove ho veramente giocato male è stata la semifinale degli Europei dell’88 contro l’URSS di Lobanovski. La loro ala destra veniva verso di me, poi rientrava al centro e lasciava spazio lo spazio sulla fascia destra difensiva, il tutto ad una velocità elevata. Non sapevo quale seguire, chiedevo all’allenatore che mi rispondeva di mettermi a metà strada. Abbiamo perso quella partita 2-0 ed erano stati di gran lunga migliori nel gioco“.

Sulla difesa a 3 con Zaccheroni: “Era un compromesso. Ho avuto a disposizione spazi enormi in una zona del terreno, nella quale non si era né l’uomo dell’attaccante avversario, né dell’ala destra. Si aveva tutto lo spazio che permetteva di creare la superiorità numerica, perché chi si occupa del terzo difensore se sale? L’attaccante è superato dalla circolazione della palla rapida e il centrocampo è già uno contro uno. Al debutto ero scettico, ma dopo mi sono divertito e ho dato molti passaggi decisivi. Al contrario, difensivamente, è più difficile coprire tutto la larghezza a 3“.

Sull’aver giocato in una difesa a 5: “Ho giocato agli Europei del 2000 sull’out mancino con una difesa a 5, ma non mi conveniva. C’era bisogno di una capacità ad effettuare gli scatti che a 32 anni non avevo più. Mi ritrovavo un po’ al margine del match“.

Milan: Paolo Maldini – MilanPress, robe dell’altro diavolo

La figura del Maldini terzino

Sul perché abbia lasciato il ruolo di terzino sinistro a metà carriera: “Già ai Mondiali del ’94 e nella finale di Champions League dello stesso anno (vinta 4-0 contro il Barcellona di Cruyff), ero passato al centro a causa dell’assenza di Baresi. Dopo i tre anni di Zaccheroni, ho alternato i due ruoli, sono tornato a sinistra con Ancelotti, nella finale di Champions contro il Liverpool nel 2005. Ciò dipendeva dalla partita, anche se l’allenatore sapeva che non mi piaceva più giocare sulla sinistra. Ciò che l’atleta perde con l’età è la gestione della lunghezza del terreno, non la forza o la velocità, che conservavo. Fare uno sprint su 50m fu duro, ma al contrario non ci furono problemi negli scatti brevi (parla della sfida contro l’Arsenal a quasi 40 anni, nella quale fu eletto man of the match, ndr)“.

Sui suoi compagni sull’out mancino: “Erano tutti differenti. Roberto Donadoni, gli dai la palla e continuavo la corsa, lui dribblava almeno due giocatori e, talvolta me la ridava, talvolta tirava dall’altra parte. Con Gianluigi Lentini, la nostra forza era l’uno contro uno. Zvonimir Boban era molto dotato tecnicamente e sapevo che amava convergere, mi lasciava lo spazio sulla mia fascia. Con Clarence Seedorf, lui giocava favolosamente fra le linee. A Serginho bastava dargli la palla e attendere che andava a concludere, perché era un’ala, dovevo coprirlo. Mi adattavo a ciascuno di loro“.

Su come ha rivoluzionato il ruolo rispetto ai predecessori: “Penso che ho provato ad utilizzare la tecnica anche nelle situazioni più delicate, quello che faceva anche mio padre. Ha provato sempre a giocare il pallone e, se sbagliava, le chiamavamo le ‘Maldinate’. Ancora oggi, quando vedo che su una palla lunga avversaria, il terzino sinistro è solo con solamente un uomo alle spalle che gli concede un tocco, lo considero un’offesa alla capacità del difensore! Abbandonare il rischio, bisogna provare a conservarlo e giocarlo“.

Sulla figura del playmaker difensivo, nata con Guardiola: “È sempre più complicato trovare spazi per costruire, perché tutti sono sul pezzo tatticamente e tecnicamente. Quando il gioco si apre con una circolazione rapida, un allenatore si dice ‘È là che posso attaccare lo spazio, perché il terzino diventa uno degli unici che può dare il pallone, può effettuare una corsa’. I giocatori come Roberto Carlos e Marcelo si posizionano già. Ma quando si arriva con la palla oltre la metà campo, si ha un’altra visione ed una migliore efficacia. Si è cercato dunque di dare grande responsabilità al terzino“.

Sul ruolo del terzino sinistro, ieri e oggi: “C’era un utilizzo diverso del terzino sinistro ai miei tempi, rispetto a quello moderno, che viene acquistato per le sue caratteristiche offensive. Se guardiamo i dati della mia carriera, sono stato probabilmente il 75% del tempo nella mia metà campo. Non si aveva un gran possesso palla. Anche con Ancelotti, si cercava di giocare verticale, che è molto più difficile, perché eravamo più esposti all’errore. Bisognava coprire rapidamente 80 metri, mentre con il possesso palla, si copre con più tranquillità la superficie di gioco. Il ruolo è cambiato. Alphonso Davies è differente da Marcelo che è differente da Theo Hernandez, che anch’egli differente da suo fratello Lucas. Ciò dipende dallo stile di gioco, dalle esigenze. Certi profili possono adattarsi, altri sono più limitati e non hanno che la corsa. Negli anni di Sacchi, eravamo guidati da delle idee di gioco, il laterale doveva seguire certe consegne senza che le sue caratteristiche potessero permettere di supportare il gioco. Oggi non possiamo essere mentalmente chiusi, bisogna dare prova di una certa flessibilità. Dal ritiro di Andrea Pirlo sono passati due anni ormai, ero con Fabio Paratici, direttore generale della Juventus, che mi aveva confidato: ‘Anche se si tratta di un’amichevole, ho capito una cosa. Era un incontro molto chiuso, fino a che sono entrati Cafu e Serginho e hanno fatto la differenza. Sono quindi questi i giocatori che fanno la differenza’“.

La sua visione del calcio ed i suoi riconoscimenti

Sulla sua visione del calcio: “Non vi nascondo che, talvolta, il calcio di oggi mi annoia con tutto questo possesso palla incessante. Sacchi mi ha trasmesso questa volontà di attaccare. Non concepisco come un terzino sinistro riparta da dietro quando ha dello spazio davanti a lui. È troppo semplice fare 80 passaggi inutili dietro. Ripeto, preferisco il rischio. Era anche il caso dei miei interventi difensivi, amavo anticipare l’avversario, ribaltare il gioco, lo spettacolo ne beneficiava. Le mie squadre sono sempre state aggressive, non sono mai stato a favore di un calcio attendista“.

Sul suo pensiero sul Dream Team: “Ho disposto un 3-2-4-1 con Ronaldo il Fenomeno punta. Era l’unico modo per rendere la squadra equilibrata. A centrocampo, Matthaus e Xavi darebbero una grande mano ai tre dietro“.

Sul fatto che non abbia mai vinto il Pallone d’Oro: “Mi sono posizionato 3° nel 1994 e nel 2003, ciò mi porta a due riflessioni. La prima è che la mia carriera è durata un lasso di tempo molto lungo. Non ho mai avuto un picco come alcuni giocatori, ho avuto un rendimento molto costante. La seconda è che ho avuto questo risultato in due ruoli diversi e ciò è un bel riconoscimento“.

Non voglio fare il falso modesto, ma sarei potuto figurare anche nella lista dei difensori centrali. Sui miei 25 anni di carriera, le mie stagioni migliori sia da difensore centrale che da terzino sinistro si equivalgono. È come se avessi avuto due carriere, non per forza per la longevità, ma per la differenza nella posizione. Mi sono spostato al centro nel 1998 e ho quindi giocato più di 10 anni frequentando poco l’area di rigore avversaria, anche se, è vero, uno dei miei punti deboli era la finalizzazione. Ho segnato poco rispetto a tutte le occasioni da gol che ho avuto“.

Sui riconoscimenti nella sua carriera: “Ho sempre detto che i premi collettivi sono i più importanti, anche se quelli individuali fanno piacere, non lo nascondo ed è questo il caso, ma ciò non è mai stato in questione. Mi sono spesso sacrificato per la squadra, sarei potuto essere il miglior terzino sinistro se me ne fossi un po’ più fregato di quello che chiedeva l’allenatore. Ma, comportandomi come ho fatto, ho ottenuto una considerazione nel mondo del calcio ancor più elevata“.

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