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Kessie: “Le grandi squadre non si accontentano mai: questa dev’essere la nostra mentalità. Sul rinnovo…”

Franck Kessie ha rilasciato una lunga intervista all’inserto settimanale della Gazzetta dello Sport, Sportweek. Il centrocampista ivoriano si è raccontato, dagli inizi di carriera fido al Milan, passando anche per il lato privato.

Sul soprannome “Presidente”: “Mi piace. È un nomignolo dato per scherzare, ma finché me lo dicono e nel frattempo lavoriamo duro, va bene. È successo che un giorno, a Milanello, parcheggio la macchina nel posto riservato a Gazidis. Uno della security, uno che chiamiamo Rambo, mi fa: ‘Franck, ma perché hai messo la macchina lì?’ E io: ‘Lasciala, da oggi sono il nuovo capo del Milan’. E Ugo Allevi dell’ufficio stampa, che aveva assistito alla scena, dice: ‘Perché lui è il presidente!’. Non l’ho più fatto altrimenti prendo la multa (ride, ndr). Quando vinciamo anche Pioli mi chiama così, anche Ibra, ma dipende se siamo in un momento di gioia“.

Sul suo essere leader: “Se ho qualcosa da dire a un compagno non lo faccio davanti a tutti perché non so come lui possa reagire. Lo prendo da parte e gli spiego. In partita è più difficile, perciò può capitare che cacci un urlo. Se qualcuno cammina, gli faccio: ‘Dai, corriamo, che dobbiamo vincere!’“.

Sul contratto in scadenza nel 2022: “Ora sono concentrato sul lavoro che dobbiamo finire e che deve portarci in Champions. A fine stagione parleremo col club“.

Sul segreto della coppia con Bennacer: “Parliamo entrambi il francese. Mi succede pure con gli altri di esprimermi nella stessa lingua; solo dopo mi viene in mente che non mi capiscono. Allora mi sforzo di trovare la parola corrispondente in italiano, ma ormai l’avversario è andato…“.

Su chi fa la voce grossa nello spogliatoio: “Parlano soprattutto i più anziani, Ibra e Kjaer. Loro e il capitano, Romagnoli“.

Sul contrasto tra il suo essere privato e l’essere leader: “Nelle rappresentative giovanili della mia nazionale, la Costa d’Avorio, sono sempre stato il capitano. Sono abituato a essere il primo a mettere la faccia, in campo e fuori“.

Su chi si appoggia a lui: “Parlo con tutti, a cominciare dai più giovani: Hauge, Daniel Maldini… Anche con quelli della Primavera che ogni tanto si allenano con noi, come Mionic“.

Sul rapporto extra-campo con Calhanoglu: “Siamo arrivati insieme nella stessa estate di quattro anni fa. Io vado a casa sua, lui viene da me. Ci assomigliamo come carattere. Quando abbiamo il giorno libero stiamo quasi sempre assieme: andavamo al ristorante quando si poteva, a fare shopping al Duomo… Ma frequento anche Bennacer, Meite, Leao, Saelemaekers…“.

Su Leao: “Gli parlo. Lui ha quasi tutto. È molto forte, ha qualità, dribbling, a volte fa gol… Gli dico di restare concentrato, di mantenere sempre lo stesso livello di attenzione in partita“.

Sul numero 19 ceduto a Bonucci: “Lui mi spiegò che era importante, io parlai con Leonardo, con mister Montella, pure con Gattuso, che ancora allenava la Primavera… Bonucci era più grande, aveva più esperienza. Ma oggi non so se lo rifarei“.

Il privato di Franck Kessie

Sull’ispirazione di suo padre: “Ho seguito la sua strada, anche se sono arrivato più lontano, perché papà non ha mai giocato in Europa. Anche il mio ruolo è più o meno il suo. All’inizio mi è venuto naturale per sentirmi vicino a lui, anche se poi ho giocato anche in difesa“.

Su suo padre e la sua esultanza: “Se lo è portato via una malattia. La sua morte mi ha fatto crescere in fretta, anche se ero il più piccolo di sette figli, quattro maschi e tre femmine. Sono rimasto coi miei fratelli e mia madre, il calcio mi ha aiutato a sopportare il dolore. Il dolore non passa mai, però la vita va avanti. Il ricordo dei giorni in cui mi portava a scuola e il pensiero che gli rivolgo quando faccio gol e mi metto sull’attenti per salutarlo. Glielo vedevo fare certe volte, quando arrivava un ospite a casa. Gli chiesi perché. Rispose: ‘È così che si saluta una persona più importante di te’“.

Sui suoi due figli: “So di dover lavorare per loro, di essere responsabile della loro educazione e del fatto che non gli manchi nulla. Voglio essere un papà bravissimo. Anche se sono stanco, quando torno dall’allenamento mi occupo di loro e gioco con Kylian finché va a letto. Colpisce già la palla, ma è ancora presto per dire se è bravo“.

Sul resto della famiglia: “Mamma e tre fratelli lavorano e hanno la loro famiglia. Altri due sono a Parigi, uno fa l’Università in Canada“.

La carriera di Franck Kessie

Sulla sua prima squadra in Costa d’Avorio, lo Stella Adjamé: “Per arrivare all’allenamento ci volevano tre ore. Andavo in autobus o mi accompagnava mamma. Il campo era un misto di erba e terra, più terra che erba. Non è stato facile, ma quando vuoi arrivare lontano devi sopportare ogni tipo di sacrificio. È quello che ho fatto, anche se la strada è ancora lunga“.

La sua mentalità: “Credo che si possa fallire, una, due o tre volte, ma alla fine, se ci credi, ottieni ciò che vuoi“.

Sul tifo per il Milan: “Il Milan era anche la mia squadra alla Playstation. Era facile tifare per loro: a quei tempi vincevano tutto. Quando ho indossato per la prima volta la maglia rossonera non ci credevo. Pensai che avrei dovuto sudare per quella maglia, perché del Milan io ero anche tifoso. È quello che cerco di fare a ogni partita. Giocare la Champions col Milan sarebbe grandioso“.

Su Gattuso: “Gattuso secondo me urla di più. È molto attaccato ai giocatori, è fantastico, ha un rapporto fisico con loro: abbraccia, tira un pugno sulla spalla, schiaffeggia dietro alla nuca. È il suo modo di essere dentro all’allenamento. Si incazza quando uno sbaglia, ma alla fine gli passa tutto. Mi diceva di non aver paura di sbagliare, di giocare con la testa più libera. Io sapevo di avere qualcosa dentro che dovevo far uscire. Oggi è più facile perché Pioli ha aiutato tanto la squadra e ora la squadra aiuta me“.

Sul ruolo: “Il ruolo per me non cambia. Centrale giocavo a Bergamo con Freuler o Cristante. Al Milan, già Montella mi disse che avremmo giocato a tre e io risposi che lo avevo già fatto al Cesena. È vero che da centrale è più facile attaccare venendo da dietro, perché hai di fronte solo il trequartista avversario. Superato lui, hai spazio davanti. Da mezzala sei più vicino ai difensori avversari, devi dribblare di più“.

Sul rapporto difficoltoso con Pioli agli inizi: “Quando arriva un nuovo allenatore porta le sue idee e ti chiede cose nuove rispetto a prima. È normale che all’inizio fai fatica. Però abbiamo parlato e parlato, io ho lavorato tanto su di me per capire come dargli quello che voleva. E alla fine ci sono riuscito“.

Su cosa deve avere il Milan per tornare grande: “La continuità nei risultati. Le grandi squadre non si accontentano mai, vogliono vincere tutte le partite. Questa deve essere la nostra mentalità. Sappiamo che non è possibile vincere sempre, ma dobbiamo provarci. Ma siamo già una grande squadra“.

Sulla città di Milano: “Tutto. È la città della moda, si mangia bene… Quando ho tempo, mi piace giocare a bowling. Come spendo i miei soldi? Se voglio spenderne tanti, aiuto chi ha bisogno, la gente del mio Paese. In Costa d’Avorio c’è una fondazione che porta il mio nome. Aiuto i poveri, i bambini negli orfanotrofi“.

Milan: Franck Kessie - Milanpress, robe dell'altro diavolo
Milan: Franck Kessie – Milanpress, robe dell’altro diavolo

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