In una stagione lunga e travagliata è complicato tenere un ritmo costante a livelli altissimi come quello che avevano Milan e Napoli nelle prime 12 giornate (10 vittorie e 2 pareggi). Dalla 13ª in poi, sia rossoneri che partenopei hanno avuto un calo di risultati, prestazioni e una variabile costante: gli infortuni.
Non vuole questo essere un approfondimento sulla questione, semplicemente un’analisi delle conseguenze che essi, ma non solo, hanno avuto sul gioco della squadra di Pioli. Una delle caratteristiche peculiari dell’idea di gioco del tecnico emiliano era l’imprevedibilità: terzini che giocavano come mediani oppure larghissimi a spingere, un esterno sinistro che fungeva da attaccante, un trequartista che si abbassava o riceveva il pallone tra le linee per creare scompiglio nella difesa avversaria.
L’assenza di diverse pedine che sono fondamentali in questo senso (Calabria, Leao, Rebic) e il contemporaneo calo di altre (Brahim Diaz e Theo Hernandez) ha portato ad uno smarrimento della specialità della casa rossonera. Se in passato era possibile sopperire a ciò con il cuore e lo spirito di squadra (vedasi vittorie dello scorso anno come quella di Verona), ora ciò sembra non bastare più.
Il cuore non basta più
Può essere considerato un normale step di crescita, poiché arrivando a giocare a livelli sempre più alti, la differenza non possono più farla esclusivamente quegli aspetti, soprattutto alla lunga. Perché Krunic non è né Leao né Rebic per caratteristiche, perché Florenzi o Kalulu, sebbene il primo abbia fatto anche il centrocampista in passato, ora non sono Calabria.
Prendiamo come esempio il terzino destro rossonero. I suoi movimenti ad accentrarsi in mezzo al campo o le sue sovrapposizioni, interne o esterne, erano diventate un marchio di fabbrica della squadra ed erano di difficile gestione da parte degli avversari. Al momento, sia Kalulu che Florenzi non garantiscono la stessa qualità e la stessa presenza in fase offensiva.
Possiamo parlare anche di Krunic, il quale adattato in un ruolo non propriamente suo, ma che può occupare, fatica a creare occasioni importanti per i compagni. Da lui non ci si può pretendere gli spunti di Leao o l’estrosità di Rebic. E qualcosa manca anche al centro della trequarti, dove Brahim Diaz fatica ad essere la spina nel fianco delle difese avversarie come lo fu, per l’ultima volta, a Madrid contro l’Atletico.
Ultima, ma non meno importante, la situazione del centravanti. Il Milan con Rebic aveva trovato un’armonia di gioco che non lasciava punti di riferimento agli avversari. Con Ibrahimovic, Pioli non ci va a perdere, ma semplicemente rischia di diventare troppo prevedibile, soprattutto per come viene continuamente cercato con palloni lunghi. La possibilità di avere più soluzioni permetterebbe, banalmente, di preparare la partita anche adattandosi alle caratteristiche dell’avversario, senza snaturare le proprie.