Doveva soltanto vincere il Milan per regalarsi un bel finale di Champions League, con la possibilità di accedere tra le prime otto squadre – direttamente agli ottavi di finale – senza passare dai playoff. Così è stato e i rossoneri hanno battuto lo Slovan Bratislava, fuori casa, trovando la terza vittoria consecutive dopo quelle ottenute contro Club Brugge e Real Madrid.

È la prima volta dall’era Sacchi che in cui il Milan ha segnato almeno tre gol in tre partite consecutive in Champions League. A questo fattore positivo, si aggiunge una classifica che comincia a sorridere e che potrebbe permettere al Diavolo di arrivare tra le prime otto nel nuovo format della massima competizione europea.

Il tempo stringe, lo scetticismo permane

Un disegno perfetto, se non fosse per il momento che in realtà i rossoneri stanno attraversando. La vittoria nel derby prima e quella di Madrid poi non hanno mai trovato una conseguente continuità. La squadra di Fonseca continua a faticare. Dopo i pareggi di Cagliari e Juventus, arrivati attraverso due modalità diametralmente opposte, il Milan ha vinto a Bratislava ma soffrendo tantissimo e continuando, giustamente, a far riflettere addetti ai lavori e tifosi in merito alla mancanza di solidità e continuità: nelle scelte, nel gioco, nei risultati.

Ma a questo Milan così discontinuo, ci si deve davvero abituare? L’ex rossonero, Alessandro Billy Costacurta, ha dichiarato: “Questa squadra avrà sempre alti e bassi. Si pensava tutti fosse più semplice, l’hanno resa più difficile. 3 punti sono importanti, fanno gran passo avanti in classifica. Accontentiamoci”.

La verità è questa, forse si è arrivati davvero a questo punto: accontentarsi per abitudine. Dopo tre mesi di Fonseca sulla panchina facciamo fatica ad osservare e a dimostrare qualcosa di diverso. Il Milan ha un ottimo organico, che però non è da settimo posto (in campionato). E avrebbe anche le capacità e le risorse per riorganizzare la fase difensiva che settimana dopo settimana – paradossalmente – sembra invece faticare sempre più.

Arrivati a questo punto si fa davvero fatica nel trovare realmente quali siano i sintomi alla base di questa malattia, sportivamente parlando. Non c’è equilibrio tattico, così come non c’è una totale attenzione nei novanta minuti di una partita, ad eccezione di quelle poche partite giocate da squadra con la S maiuscola. Ma non può bastare, non per riprendersi il posto tra le prime quattro in campionato: obiettivo minimo per un club che ancora oggi attraverso i suoi riferimenti parla di scudetto. Il tempo stringe, lo scetticismo permane.