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Maldini: “Campionato? Bisogna forzare la ripartenza. Quando Leo se n’è andato mi sono sentito solo, ma con Boban e Massara…”

Nella consueta diretta Instagram serale di Chrisitan Vieri, è intervenuto il DT del Milan Paolo Maldini, il quale in prima battuta ha espresso la sua in merito all’eventuale ripresa del campionato: Si deve provare a riprendere e a finire questa stagione. Nel caso non si finisse manderebbe in casini molti club. In questo momento ovviamente bisogna mettere la salute come priorità, ma se ci saranno le condizioni per iniziare che provino. I protocolli per i giocatori sarebbe molto rigido. La Federazione ha dato l’indicazione di provare a finire. Se il governo darà l’ok, Federazione e Lega organizzerebbero un calendario compresso. Ricominciare a luglio sarebbe complicato perché i contratti finiscono il 30 giungo. L’idea della Uefa è quella di finire i campionati nei primi di agosto. Se non si forza la situazione, non si riparte più e il danno economico sarà enorme”.

Sul rapporto di campo con il figlio Daniel: “So bene cosa vuol dire avere il papà che ti segue da vicino, io ho avuto il mio addirittura come allenatore nel Milan e in Nazionale. Io ho iniziato a fare il DT che Daniel era in primavera, poi con Giampaolo ha cominciato a salire in pianta stabile in prima squadra e così anche con Pioli, che lo ha anche fatto esordire. Io cerco di non commettere quelli che in qualche modo potevano essere errori di mio papà con me, ma la verità è che tutte le volte che ogni volta che mio papà mi parlava dopo ogni partita e ogni allenamento a me dava un fastidio enorme e lo stesso è anche per Daniel quando gli dico le cose. Gli appunti dei papà non fanno mai tanto piacere, anche se poi fanno comunque pensare. E’ anche giusto farli sbagliare. Io ero ipercritico con me stesso e lo sono anche con i miei figli. Poi c’è da considerare che io ho anche un ruolo istituzionale, quindi non è che posso andare all’allenamento a fare il papà e dare i consigli. Poi ci sono già gli allenatori, che sono molto esigenti e gli fanno il mazzo”.

Sulla carriera da dirigente: “E’ difficile, il primo anno mi ha chiamato Leo ed è stata un’esperienza bellissima, che mi ha fatto imparare tanto. Poi quando mi ha detto che ne sarebbe andato mi sono sentito veramente solo, magari anche non in grado di fare tutte le cose che avevo visto fare da lui. E invece devo dire che dal primo giorno in cui mi sono trovato a capo della direzione sportiva mi sono sentito completamente a mio agio in questo ruolo, poi mi sono portato con me due professionisti di assoluto valore che erano Boban e Massara. Ci vuole esperienza, ma avendo sempre vissuto all’interno di questo mondo è una cosa che ti viene assolutamente naturale; poi il rapporto con le persone, a mio modo e con il mio carattere, l’ho sempre curato. E poi questo lavoro mi ha permesso di imparare pure l’inglese, dato che non ho avuto modo di finire le scuole (ride)”.

Sulla mancanza del campo: “Sinceramente non mi manca giocare. Dopo l’estate del mio ritiro, è arrivato il giorno dal raduno e mi sono detto: ‘Com’è, non mi chiamano?’. Lì un pochino ho sofferto. Poi in vacanza sono stato bene, così come all’inizio del campionato. Poi terza partita: Milan-Inter. Mannaggia, sono andato allo stadio e avevo una voglia di giocare pazzesca. Così come in Milan-Barcellona. Poi basta, perché mi ero già preparato mentalmente. Grazie a Dio avevo già giocato tanto e cominciavo anche a non stare bene, a fare fatica”.

Sulla carriera da calciatore e i momenti più tristi: “C’era con me Boban qualche mese fa e ho pensato: ‘Ma sai che sono il calciatore più perdente della storia?’. Se ci penso, ho vinto tantissimo, ho vinto cinque Champions. Ma ho perso tre finali di Champions, tre finali di Coppa Intercontinentale, una finale di Mondiale e poi potrei andare avanti. Ho vinto tanto, ma tutte queste finali perse fanno parte del gioco. Il momento più brutto forse è stato a Marsiglia, quando non abbiamo finito la partita. Quella è legata ad un comportamento sbagliato in cui c’era molta confusione. In Nazionale, purtroppo, ho giocato con grandi squadre e avuto grandi occasioni. L’Italia ha spesso perso ai rigori. Poi sono stato sfortunato perché nel 2006 ho rifiutato la chiamata di Lippi, dato che iniziavo a non stare bene. Quando ho visto che hanno vinto, ero contento sì, ma ho pensato di essere proprio sfortunato. Questa è la vita e dobbiamo accettare le regole del calcio. La mia ultima competizione con la maglia azzurra è stata nel 2002 in Corea. Quando ci hanno fermato le guardie e non volevano farci entrare allo stadio perché non avevamo i pass (ride). Sono sempre belle esperienze, il calcio mi ha realizzato come uomo e mi ha insegnato tanto: mi ha fatto imparare a stare in un gruppo, con uomini provenienti da ogni etnia e da ogni estrazione sociale: il calcio è integrazione”.

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