Il Milan ha recentemente rivalutato il proprio brand, sulla base di una stima di un advisor indipendente, per 174 milioni di euro. I rossoneri l’hanno fatto, come molti altri club di Serie A, in questo momento storico perché hanno potuto sfruttare l’opportunità di farlo a condizioni contabili e fiscali vantaggiose, ossia con 18 anni di ammortamento il 3% di imposta. Ma come si è arrivati a queste cifre?
Ha provato a spiegarlo l’edizione odierna di Milano Finanza con l’aiuto di Massimo De Buglio, partner della società di consulenza WePartner, che ha per prima cosa sottolineato il perché di questa rivalutazione con queste parole:
“La rivalutazione del marchio aumenta il patrimonio netto del club. Nel settore sportivo, peraltro, i criteri tradizionali di valutazione delle aziende – basati sui flussi di cassa prospettici e sui multipli di società comparabili – sono difficilmente applicabili e quindi il patrimonio netto espresso a valori di mercato è tra gli elementi valutati nel caso della cessione di un club”.
Lo stesso De Buglio ha poi parlato dei 3 modi di approcciare questa complicata tematica, questo il primo: “Il primo è legato al costo concretamente sostenuto per la creazione di un brand e non è solitamente applicabile alle squadre di calcio la cui fondazione risale talvolta a più di un secolo fa”.
Questo il secondo, probabilmente quello utilizzato dai rossoneri: “Il secondo metodo è basato sul flusso di reddito prospettico che il marchio è in grado di generare e trova significativa applicazione nel calcio”.
Questo invece il terzo: “Il terzo approccio è basato sui multipli di mercato di marchi comparabili e, dopo le operazioni di compravendita e le rivalutazioni effettuate da diversi club italiani, potrebbe trovare anch’esso applicazione, sebbene con significatività più limitata”.