L’ex attaccante del Milan, Marco Borriello, è stato protagonista di una lunga intervista a Radio TV Serie A su RDS. Di seguito le principali dichiarazioni di Borriello: “Non sono stato la bandiera per le squadre in cui ho giocato, cambiare quasi ogni anno club è impegnativo e non ti rende fedele agli occhi altrui, ma non è stata solo colpa mia. Sono stato di proprietà del Milan dai 15 anni ai 28 anni, nel Milan più forte degli ultimi 40 anni che aveva in squadra dei giocatori eccezionali. Ritrovarsi a non giocare e a stare in panchina ferma la tua crescita e ti spinge a pensare di spostarti: andavo in prestito un anno, facevo molto bene, mi richiamavano e di nuovo non giocavo. Ho avuto tanti compagni, e tra questi c’erano giocatori fortissimi da una parte e giocatori che dovevano guadagnarsi il posto da titolare per non retrocedere dall’altra“.
Borriello prosegue: “La mia carriera da nomade mi ha permesso di conoscere tanti allenatori e di visitare altrettante città e questo è stato un bagaglio impagabile che mi porto dietro anche ad oggi. Il mio è un viaggio che è iniziato a 14 anni a Granarolo Faentino, dove c’era un settore giovanile strutturato che prendeva i ragazzi di Napoli più talentosi e li faceva vivere in una casa con un tutore che ci seguiva e ci aiutava. A 15 anni poi mi acquistò il Milan. Ho giocato al Milan nel periodo migliore, nell’arco delle tre finali di Champions. Berlusconi ha diretto un club unico, composto da un gruppo meraviglioso in un ambiente altrettanto bello. All’epoca era Presidente del Consiglio e quindi riusciva a seguire poco la squadra durante gli allenamenti, però quando eravamo in albergo veniva sempre a trovarci e per ognuno di noi aveva un aneddoto“.
Borriello conclude: “Tra i migliori allenatori che ho avuto cito Gasperini che a livello tecnico mi ha lasciato tantissimo, è un maestro di calcio. Con lui sarei potuto diventare capocannoniere entro fine stagione, ma mentalmente mollai quando ad aprile firmai per il Milan. Non ho nessun brutto ricordo con gli allenatori che mi hanno seguito, anche con quelli con cui ho legato meno c’è sempre stato un ottimo rapporto di rispetto reciproco. Tra compagni capita che ci siano screzi, nello spogliatoio è normale, ma è proprio con quelli con cui sono andato alle mani che poi sono diventato davvero amico, anche fuori dallo spogliatoio. Io sono uno che non porta rancore anche perché in campo bisogna andare oltre e fare gioco di squadra sempre e con chiunque“.