Eletto pochi giorni fa, il neo presidente della Lega Serie A, Lorenzo Casini, ha rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport. Di seguito tutte le dichiarazioni di Casini: “Chi me l’ha fatto fare? Mi ha convinto quanto il calcio potrebbe fare, e ancora non fa, per il Paese. Non dico ovviamente solo in termini economico-finanziari e di indotto. Ma in quanto risorsa “pubblica”. È un’opportunità che non voglio perdere. Sono stati in più a chiedermi una disponibilità. Alla fine tutto il gruppo degli undici che mi hanno votato. Li ringrazio di cuore per aver puntato su di me. Ma sia prima, sia dopo l’elezione ho parlato con tutti. Non sono il riferimento di un club o di una maggioranza, ma di tutta la serie A. Tra gli undici ci sono anche proprietà americane, che sono stato felice di conoscere. La Juventus si è astenuta, ma poi mi ha manifestato supporto, e in questi giorni ho scambiato punti di vista con loro. L’Inter e il Milan immaginavano un profilo diverso, me lo hanno detto, ma nulla di personale. Se la Lega ha bisogno di uno come me? Credo di sì. Ci aspettano riforme normative importanti, un riassetto organizzativo e la ripresa di rapporti istituzionali costruttivi. Un giurista con un’esperienza di governo può essere utile».
Casini prosegue: “Indice di liquidità? Siamo in una fase di post-emergenza e si è giocato con gli stadi solo parzialmente aperti. Ci vuole gradualità, fermo restando l’obiettivo di puntare alla sostenibilità finanziaria. Ma la liquidità, come emerso già in Consiglio federale, non può essere un elemento esclusivo, per cui società sane dal punto di vista patrimoniale rischino di essere penalizzate di fronte a una temporanea difficoltà di cassa. Ci attende un mese di lavoro intenso con la Federazione per trovare un punto di equilibrio ragionevole per tutti. Lazio, Sampdoria e Genoa a rischio? Non mi risulta. Il sistema va migliorato. E le prime a volerlo sono le società. L’indebitamento parte da lontano. Quanto alle plusvalenze, non è un fenomeno solo italiano. Lo affronterò, insieme con i presidenti, con la giusta misura. Realizzare profitti da una compravendita resta un sano obiettivo d’impresa. Stipendi? Il costo del lavoro è oramai una componente troppo onerosa rispetto ai ricavi, arrivando a sfiorare in alcuni casi l’ottanta per cento dei costi complessivi. Dovrebbe scendere, per essere sostenibile. C’è da valutare una riforma delle tipologie contrattuali, ma senza fughe in avanti. Perché un sistema complesso richiede rimedi ben calibrati».