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Il nuovo corso di Rangnick e l’addio inevitabile a Ibra

Dire che Rangnick sarà il prossimo allenatore del Milan è riduttivo. Con l’arrivo di Rangnick alla direzione sportiva dei rossoneri comincia un vero e proprio progetto, si introduce una nuova filosofia di gioco e di lavoro, si può dire che inizi una nuova era.

Idee. Rangnick non è solo un professionista che viene a lavorare a Milano, il tedesco ha l’obiettivo e la presunzione di rifondare il Milan da zero. Vuole portare suoi uomini di fiducia, dai preparatori atletici ai medici, dagli allenatori agli osservatori e ovviamente vuol scegliere uno per uno tutti i giocatori. Che devono avere caratteristiche ben precise: giovani, affamati, con ingaggi bassi e disposti a fare sacrifici e a sposare in tutto e per tutto la sua filosofia.

Soldi. Un risvolto economico che si coniuga alla perfezione con l’unico vero obiettivo di Gazidis, cioè iniziare finalmente un risanamento dei conti e imboccare la lunga e tortuosa strada del pareggio di bilancio e dell’auto sostentamento del club. Una strada cominciata ormai 10 anni fa, resasi imprescindibile quando nel 2014 le perdite di bilancio del Milan sono “uscite” dalla controllante Fininvest, ma mai percorsa fino in fondo da nessuno. Né dall’ultima gestione diretta di Fininvest dilaniata dalla guerra interna, né tantomeno da Fassone e da Yonghong Li (per fortuna i suoi autori di testi sono tornati a twittare, perché le interviste sono uno sforzo troppo grande per loro), ne’ dal primo anno e mezzo di Gazidis, sicuramente il peggiore dal punto di vista economico e commerciale.

Nuova rotta. Gazidis si propone di invertire questa triste rotta finanziaria che poi si riflette in maniera perfetta anche dal punto di vista sportivo con un progetto tutto nuovo e assolutamente rivoluzionario. Nessuno può sapere se funzionerá o no. Di certo i limiti sono tanti, il più evidente di tutti è che attraverso Ragngick e la sua folta schiera di collaboratori, Gazidis si propone di fare una cosa che nel calcio italiano non ha mai fatto nessuno. Cioè importare un modello innovativo, molto distante dalle consuetudini e dagli uomini del calcio nostrano e provare a metterlo in pratica. Spesso, anzi quasi sempre, gli allenatori stranieri che avevano ottenuto grandi risultati altrove, hanno pagato a carissimo prezzo l’impatto con la Serie A e con le peculiarità del calcio italiano. Qui Gazidis si spinge ancora più in là: non si limita a ingaggiare un allenatore d’Oltralpe ma impone a Milanello e in via Aldo Rossi un modello manageriale totalmente nuovo e totalmente straniero. Un bel rischio e una bella responsabilità accentuata dal fatto che sull’altare di Rangnick Gazidis dovrá sacrificare alcuni simboli nonché punti di riferimento della storia milanista: Ibra in campo e Maldini fuori. Stavolta Gazidis fa all in e si prend rischi e responsabilità. Se fallisce è tutta colpa sua. Ma stavolta, dopo aver duramente criticato il dirigente sudafricano, che peraltro continuo a non apprezzare per le contraddizioni e le opacità con cui ha condotto e sta portando a termine la stagione, non me la sento di essere scettico a priori sul progetto Rangnick. Mi sento di provare a essere ottimista e fiducioso.

Integralismo. Se non altro perché questo ha tutta l’aria di essere un progetto e perché l’intransigenza e l’integralismo di uno come Rangnick sono quelli che probabilmente servono per tornare a dare delle linee guida a un mondo totalmente disorientato come quello del Milan. In campo e fuori. Mi piace quando si fanno le cose con strategia e coerenza. E quindi voglio davvero essere fiducioso sulla nuova era che comincerà con la nuova stagione. Per inciso e per il Milan, questa è già finita. Indipendentemente che ricominci o no il campionato. Parlavo di strategia e coerenza. Sono quelle che ha chiesto lo stesso Rangnick, che non vuole compromessi e intromissioni. E se si vuol davvero credere fino in fondo al progetto Gazidis dovrà essere capace di difenderlo e tutelarlo anche quando le cose andranno male. Ma soprattutto non si dovrà scendere a compromessi e non si dovrà cedere alle pressioni.

Epilogo. Sono più esplicito: mi ha riempito il cuore rivedere Ibra con la maglia del Milan e in quelle poche partite siamo tornati a vedere la luce dopo anni di buio pesto, ma se si decide di affidarsi in tutto e per tutto al progetto Rangnick e se Ibra non rientra nei piani del tedesco, bisogna dargli retta. E, a malincuore, bisogna farlo partire. Anche se Yonghong Li o altri ex presidenti fanno pressioni per tenerlo. Altrimenti si riparte con il piede sbagliato. Il solito piede.

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