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Kjaer eletto calciatore dell’anno dal Guardian: “Il calcio è diventato secondario per me”

Il Guardian Footballer of The Year (calciatore dell’anno per il Guardian) è un premio che viene assegnato ad un giocatore che ha fatto qualcosa di notevole, che sia superare un’avversità, aiutar gli altri o essere stato un esempio sportivo comportandosi con onestà eccezionale.

Quest’anno il quotidiano inglese ha deciso di consegnare questo riconoscimento a Simon Kjaer, direttamente a casa sua ad Helsingor, Danimarca. Il difensore rossonero ha poi riflettuto sui 12 mesi appena vissuti: ecco le sue parole.

Positive, negative, siamo passati attraverso tutto, tutto il registro delle emozioni. Le abbiamo vissute tutte“.

Sui complimenti: “Apprezzo tutte le parole positive e di gratitudine. Sono onorato, ma come ho sempre detto, la mia reazione (nell’episodio con Eriksen, ndr) è stata impulsiva, così come quella degli altri. Quello che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto come squadra. Non sarei stato capace di fare ciò se non avessi avuto qualcuno a cui appoggiarmi“.

Su Eriksen: “Era un nostro amico, non un collega, un amico. Ciò ha reso tutto ancora più intenso e quello che abbiamo fatto è stato istintivo. Non credo che puoi prepararti per qualcosa del genere. So, per me stesso, che sarei stato capace di fare nulla senza la squadra al mio fianco. Alla fine tutto è stato fatto con un obiettivo e ciò era la salute di Christian e della sua famiglia“.

Sulla reazione della squadra nei giorni successivi: “Le provi tutte. Ci siamo permessi di allenarci un’ora, un’ora e mezza al giorno e poi andare avanti con tutte le difficoltà che la giornata portava“.

Sulla partita contro il Belgio persa per 2-1: “Sono andato avanti: riscaldamento, spogliatoio, inno nazionale, il fischio d’inizio. Non avevo idea di cosa di ciò che sarebbe successo. Anche se sono arrivato alla gara sapendo che avrei dovuto giocare, alla fine non sapevo se avrei giocato. Non avevo idea di come mi sarei comportato, nessuno l’aveva, ma ero ok. Quindi ci siamo goduti il match e il risultato non è contato, posso dirlo al 100%“.

E continua: “I tifosi, lo stadio, il supporto, la sensazione che avevamo dentro, credo che descriva ciò che è successo per la Danimarca in tutta l’estate, per le persone che erano lì, ma anche per quelle che guardavano dalla TV. Come abbiamo fatto quello performance? Non trovo nessuna spiegazione: posso solo tornare dalla squadra, il supporto, la fiducia il comfort che abbiamo trovato tra noi stessi. Il nostro legame era l’unica cosa che ci ha dato l’opportunità di tornare in campo“.

Sull’uscita dall’Europeo e l’importanza del calcio: “Se non avessimo passato la fase a gironi, sarei stato ok con ciò. Sicuramente, dopo avrei guardato indietro e sperato. Sono ancora arrabbiato per il rigore e per non esserci stati in quella finale. Ma alla fine è secondario, il calcio è diventato secondario per me. Non è importante come lo era prima. Il terreno di gioco resta comunque il posto nel mondo dove mi sento più a mio agio“.

Il suo cambiamento dopo l’episodio: “Quando hai avuto quest’esperienza, la porti con te per il resto della tua vita. Trai insegnamenti da ciò e magari mi permetterà di giocare a calcio meglio di prima. Mi godo le partite e questa cosa mi consente di avere un approccio più rilassato, uno più dedito, ma che allo stesso tempo mi fa rilassare. Amo giocare a calcio, l’ho sempre amato, ma non ho altri 10 anni e quindi devo godermi il tempo che mi manca“.

Sul grave infortunio: “Nella grande prospettiva, questa è solo la mia gamba e ciò è solo calcio, anche se entrambe le cose sono molto importanti per un calciatore. Sto bene, la mia famiglia sta bene e tornerò sul terreno di gioco. Preferisco vederla come un’opportunità positiva, rara. Ho spesso avuto il pensiero di cosa potesse essere stare lontano due o tre mesi dalle partite, sia per essere creativo ottimizzando il mio gioco che per rendere il mio corpo più forte. Normalmente non è mai possibile in carriera. Avrei preferito non infortunati, ma devo accettarlo e lavorarci sopra per uscirne con la migliore versione di me stesso“.

Sulla sua mentalità: “Nella mia testa sono un ragazzo che è cresciuto in una piccola città e i miei piedi sono piantati per terra solidamente. Qualche volte devi essere un po’ arrogante, un po’ ignorante, quando parli delle tue capacità perché ciò ti spinge di più. Se stai giocando contro Messi e Ronaldo, probabilmente loro sono più forti di te. Ma se tu sai che ogni giorni lavori duramente, puoi dirti: ‘C’è un difensore migliore di me in questo momento nel mondo?’. A certe condizioni, io credo di essere il migliore, devo pensarlo. Se no non lo sarò mai, non darò mai il 100%“.

Sul suo spirito danese: “In generale siamo persone rispettose ed educate. Se prendi 100 giocatori danesi in giro per il mondo, forse uno sarà un po’ fuori di testa, ma credo che troverai somiglianze tra noi. Vieni cresciuto per essere molto indipendente, impari a curare te stesso ed essere gentile. Impari l’atteggiamento e la confidenza, anche se non troppo. Apprezzi e guadagni il tuo rispetto, non ricevendo niente per scontato. Siamo molto diretti e onesti: credo che ciò sia molto importante“.

Un ultimo pensiero su Eriksen: “Parlo molto con Christian, è stata una mia terapia. So che lui sta bene, quindi anche io sto bene: funziona così. Ovviamente ho cose con le quali faccio fatica, e continuerò sempre a fare fatica con loro. Ma col tempo, se posso vedere che Christian e la sua famiglia stanno bene, anche io lo sono. Ecco dove trovo la mia pace, è abbastanza per me“.

Simon Kjaer
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