Ieri sera, sebbene nel pieno dell’euforia più totale da vittoria milanista nel derby, Stefano Pioli – uno che la lucidità non la perde mai, nemmeno nelle dichiarazioni – lo ha detto chiaramente ai microfoni dei colleghi di DAZN: “Sono un allenatore felice”. Quattro parole, chiare, semplici e dirette. E Stefano Pioli è felice perché il suo Milan, quello che ha plasmato negli ultimi tre anni, è diventata una gran bella squadra. La più forte del campionato? Chissà, ci si può discutere per giorni. La “più squadra” di tutte? Certamente sì, ed il 233° derby di Milano della storia del calcio ne è stata meravigliosa esemplificazione. Se c’era una squadra che avrebbe dovuto azzannare la partita, quella era certamente l’Inter, che ad un certo punto della scorsa stagione – più precisamente intorno alle 19:30 dello scorso 5 febbraio – aveva nove dita su dieci sullo scudetto numero 20 della sua storia, ed invece tre mesi e mezzo dopo ha visto un’intera città tingersi di rossonero per lo scudetto numero 19 del Diavolo.
Milan, quanta fame!
Ed invece, ieri sera, ad avere fame e cattiveria è stata proprio la formazione di Pioli, che ha voluto fortissimamente tre punti pesantissimi, nonostante siamo ancora e soltanto alla quinta giornata di campionato. Quella fame che permette al Milan di non patire la sindrome d’appagamento, di ribaltare le situazioni di svantaggio con apparente facilità. Maignan e compagni paiono non perdere mai la consapevolezza di ciò che sono e di quanto possano fare.. Il campionato è lungo, certo, e guai a sedersi sugli allori, ma Pioli ha saputo mantenere vive voglia e determinazione di una formazione giovane, piena di talenti. E proprio il più luminoso di questi, Rafael Leao, ha dato un segno di importante e sperata maturità per il futuro, il suo e quello rossonero.
Ora la crescita in campo internazionale
Sin dal triplice fischio dell’arbitro Chiffi, molti tifosi nerazzurri sui social si sono affannati a giustificare la sconfitta con la frase: “A portieri invertiti avremmo vinto noi”. Detto che il confronto tra Maignan e Handanovic è impietoso – tra i due ci sono almeno un paio di “allegriane categorie” di differenza – tale affermazione è oltremodo semplicistica. Ieri il Milan ha vinto perché ha oggettivamente parato meglio, certo, ma anche difeso meglio, attaccato meglio, e giostrato meglio a centrocampo. Soprattutto nei quarantacinque minuti che separano i due gol interisti. Dal minuto 22 al minuto 67, infatti, si è visto probabilmente il miglior Milan da tanti anni a questa parte: in pieno controllo della situazione, dominante in ogni settore del campo, straripante in avanti e granitico in difesa, per un dominio che nelle stracittadine meneghine non si vedeva da oltre un decennio, anche se la scossa emotiva seguita all’improvviso 2-3 di Dzeko stava per rimettere tutto in discussione. Adesso, a Pioli ed ai suoi ragazzi manca solo la legittimazione in campo internazionale: la Champions League che inizia martedì nella stupenda Salisburgo sembra l’occasione perfetta.