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Valentina Bergamaschi sul Milan: “Essere il capitano è un privilegio e un ruolo molto importante”

Valentina Bergamaschi ha rilasciato una curiosa intervista, presso la rivista L’Ultimo Uomo, inerente al mondo rossonero e al calcio femminile. Queste le parole del capitano del Milan:

Sulla migliore annata svolta in carriera: “Credo quella scorsa. Mi avevano assegnato un nuovo un ruolo al Milan, un ruolo di grande responsabilità ed è come se avessi inserito una nuova marcia. In quel momento ho fatto un passo in più che mi ha permesso, per esempio, di fare quel gol contro l’Islanda. Un gol che non dimenticherò mai perché in quella partita eravamo sotto e dovevamo fare risultato. Segnare in competizioni del genere è un’emozione unica, non credevo a quello che stava succedendo; non mi ricordo nemmeno come ho esultato, ricordo soltanto la corsa verso la panchina”.

Riguarda alla stagione rossonera: “Non ci aspettavamo inizio così difficile, avevamo nuovi innesti quindi abbiamo faticato a trovare la quadra. La poule scudetto è stata la nostra salvezza perché stavamo meglio e siamo riuscite comunque a conquistare il terzo posto. Dal punto di vista personale non è stata una stagione facile, devo ammetterlo, rientrata dalla competizione europea fuori dal club ho fatto fatica, specialmente a inizio stagione. Mi sono ripresa nella seconda parte del campionato e nella poule scudetto credo di esser tornata ai livelli dell’anno scorso”.

Sul gruppo del Diavolo: “Il gruppo è una parte fondamentale: nel calcio il singolo da solo non può fare nulla. Ognuna di noi ha capito di doversi mettere a disposizione per il bene della squadra e penso si sia visto, specialmente nella seconda parte di stagione, durante la poule scudetto Siamo molto unite e lottiamo l’una per l’altra senza mollare mai. Non cambierei nulla della mia squadra”.

Riguardo alla fascia da capitano: “Essere il capitano del Milan è un privilegio e un ruolo molto importante. Indossare la stessa fascia di Franco Baresi e Paolo Maldini, che sono stati leggende di questi colori, mi rende orgogliosa e mi fa sentire responsabilizzata. Io sono un capitano che non parla molto, preferisco i fatti. Mi piace essere breve e concisa, non amo i discorsoni.  Quando parlo, però, spero sempre che le mie parole diano una spinta alle mie compagne”.

Sul lavoro svolto da Nike nel calcio femminile:“Il contributo che Nike dà al calcio femminile è importante, c’è la cura di ogni minimo dettaglio dal design pensato appositamente per noi a tutti i piccoli accorgimenti che hanno per fare in modo che un prodotto si adegui alle nostre esigenze. Lavorano molto anche con i feedback di noi atlete, questo fa la differenza. Se pensiamo alle scarpe, ad esempio, non tutti calziamo allo stesso modo perché ognuno ha il suo piede e poterle adattare alla forma di chi le indossa è importante. 

Quando quest’estate ho letto che le giocatrici dell’Inghilterra avevano espresso un disagio per i pantaloncini bianchi perché rischiavano di sporcarsi nei giorni del ciclo, non avevo dubbi che Nike avrebbe trovato una soluzione. Questo è un punto cruciale, molte di noi spesso mettono gli scaldamuscoli per evitare di sporcarsi in quei giorni del mese. La cura ai dettagli è tutto”.

Riguardo alla scaramanzia: “Sui parastinchi ho la foto di mia nonna che puntualmente bacio sette volte e quando entro in campo faccio il segno della croce e bacio il suo nome tatuato sul braccio. Mia nonna purtroppo non c’è più, si è ammalata ed è venuta a mancare a novembre dopo il grande torneo del 2019. Ho deciso di tatuarmela perché è una parte fondamentale della mia vita, mi ha cresciuta e mi piace ricordarla così. Me la ricordo sempre lì a tifare per me sugli spalti quindi mi piace pensare che sia sempre lì accanto a me”.

Sulla scelta del 7 come numero di maglia: “Il 7 perché è stato una delle prime maglie indossate da piccola, avevo chiesto ai miei genitori di giocare a calcio, sono andata a vedere un torneo e mancava un bambino così ho detto “vabbè nessun problema posso giocare io” e l’unica maglia disponibile era il 7 quindi da lì me lo sono tenuto stretto”.

Riguardo alla parte più difficile dell’essere un’atleta: “Sicuramente la gente ignora gli sforzi e i sacrifici. L’attenzione all’alimentazione, le uscite che devi saltare, gli impegni familiari a cui devi rinunciare. Sono rinunce con le quali probabilmente, avendo un altro lavoro, non dovresti avere a che fare”.

Sui pregiudizi: “Sono una che preferisce i fatti alle parole, ho sempre e solo pensato a dimostrare giorno dopo giorno il mio valore in campo. È ciò che mi hanno insegnato”.

Riguardo ai due infortuni al crociato e al pensiero di voler smettere con il calcio: “Un infortunio di quel genere a 17 anni non me l’aspettavo anche perché stavo vivendo una stagione bellissima, la prima in un club importante come il Lugano. Quando la risonanza ha dettato l’esito della rottura del crociato ho detto a mia mamma che volevo smettere perché non ero pronta a soffrire così tanto, non sentivo di avere la forza di reagire ed è stata una batosta non indifferente dal punto di vista mentale”.

Sulla famiglia: “I miei genitori in quell’occasione mi hanno fatto capire che smettendo mi sarebbe sfuggito dalle mani qualcosa di importante e mi hanno ricordato che io non sono una che molla alle prime difficoltà. Mi hanno dato quel coraggio che da sola non avrei avuto. Li ringrazierò sempre anche perché sono i primi ad aver creduto in me quando ho iniziato a giocare, mi hanno supportata e hanno sempre combattuto contro tanti pregiudizi in merito.

Mi ricordo che ad una partita mia mamma era in tribuna, avevo appena subito un fallo ed ero caduta per terra e una signora ha urlato che mi sarei dovuta iscrivere a danza classica invece di giocare a calcio. Lei in quella circostanza mi ha difesa e ha detto alla signora che io invece mi sarei rialzata ancora più forte. Solo un piccolo aneddoto per far capire che comunque i pregiudizi ci sono sempre stati e ci sono ancora oggi purtroppo”.

Riguardo al paio di scarpe a cui è più legata: “Sicuramente il primo paio di scarpe che mi sono regalata. Erano le Tiempo Legend blu e giallo fluo di Canada 2015, il Mondiale che hanno vinto gli Stati Uniti. Quelle erano le scarpe che indossava Alex Morgan che ai tempi era la mia calciatrice preferita. Quelle oltretutto erano le prime scarpe che Nike realizzava esclusivamente per delle calciatrici.

Ricordo che quando sono andata in un negozio per comprarle mi hanno detto espressamente “Ah è proprio il modello dedicato al mondiale femminile!” Quando ho acquistato quelle scarpe giocavo al Lugano e sognavo anche io di giocare un Mondiale come loro. Un’altra scarpa a cui sono affezionata è la prima in assoluto che ho ricevuto, erano le scarpe di Ronaldinho beige e oro con il gancetto e lo strappo davanti, me le aveva date mio cugino perché a lui non andavano più bene ma erano come nuove, in quel periodo giocavo a 7 al Caravate con i maschi”.

Milan Femminile: Valentina Bergamaschi - MilanPress, robe dell'altro diavolo
Milan Femminile: Valentina Bergamaschi – MilanPress, robe dell’altro diavolo

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