HomeIn evidenzaInzaghi, tra amarcord da giocatore e il "passo falso" da allenatore

Inzaghi, tra amarcord da giocatore e il “passo falso” da allenatore

Ogni milanista porta nel cuore Filippo Inzaghi. Certamente per le sue imprese da giocatore. Meno per quelle da allenatore. Anche gli scarsi risultati della “seconda vita rossonera” di Superpippo hanno più di un’attenuante. E così domani l’incrocio sarà comunque un tuffo al cuore, visto che il Milan a Benevento incontrerà una squadra ben organizzata e rodata, frutto della capacità di Inzaghi di assemblare il gruppo e imporre le sue idee tattiche. Tutto ciò che al Milan, da allenatore, non riuscì a fare non certo per colpe tutte sue.

Il Milan, infatti, si sente quasi in debito con Superpippo nell’estate del 2012. Lui è reduce da una stagione travagliata, poco utilizzato da Massimiliano Allegri col quale ha anche un acceso diverbio a poche settimane dal ritiro: il tecnico della Prima Squadra si reca un pomeriggio al Vismara dove Pippo allena gli Allievi Nazionali e vengono quasi alle mani. Inzaghi, infatti, si sente ancora abile a giocare, ma non si vede con altre maglie diverse da quella rossonera. Allegri, dal canto suo, non ritiene più l’attaccante pronto ad una nuova stagione. E tantomeno il bomber vuole passare un’annata da mascotte in tribuna. A quel punto Adriano Galliani lo convince ad accettare subito un incarico da gavetta nel Settore Giovanile, all’epoca magistralmente diretto da Filippo Galli.

Dopo il ritiro, dunque, Inzaghi accetta l’incarico di allenatore degli Allievi nella stagione 2012/2013 passando poi alla Primavera nell’annata 2013/2014, vincendo il Torneo di Viareggio e crescendo giovani del calibro di Gigio Donnarumma e Davide Calabria. A quel punto Galliani, dopo la trascurabile parentesi di Clarence Seedorf in panchina, decide di affidare la Prima Squadra al suo pupillo. Le cose partono bene, con due vittorie subito contro Lazio (3-1 a San Siro) e Parma (4-3 al Tardini). Poi una continua altalena di risultati per un bilancio amaro: decimo posto (fuori da ogni competizione europea), con 13 vittorie, altrettanti pareggi e 12 sconfitte.

Ci vogliono anni prima che Inzaghi, che lo scorso anno ha guidato il Benevento alla promozione dalla Serie B alla Serie A, riesca a smaltire le scorie di quella stagione sulla panchina del Milan, condita da un mercato piuttosto “avaro” e nel pieno di diatribe societarie tra Galliani e Barbara Berlusconi. Non gira nulla per il verso giusto, se non il fatto (l’anno dopo) di aver consegnato a Sinisa Mihajlovic, pure lui poi esonerato, una squadra che certamente aveva la possibilità di centrare la qualificazione alle coppe europee, arrivata solo al termine della stagione 2016/2017 con Vincenzo Montella in panchina e dalla porta dei preliminari di Europa League.

Domani Inzaghi ritrova il Milan con quella maturità tecnica e personale che indubbiamente sarebbe servita sei anni e mezzo al momento della nomina alla guida dei rossoneri. A lui, ricordando quel periodo, va riconosciuto il coraggio di averci provato tra mille difficoltà. Gli sarebbe servita più “gavetta? Forse. Gli sarebbe servita una squadra più pronta? Indubbiamente sì. Gli sarebbe servito un ambiente più solido? Senza ombra di dubbio. Per fortuna nulla intacca ancora oggi la memoria dei tifosi che associano Superpippo alla finale di Champions di Atene nel 2017 e, più in generale, alle 126 reti realizzate in 300 presenze ufficiali con la maglia del Milan.

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