L’investitura da capitano di Matteo Gabbia, che domani indosserà la fascia in assenza di Maignan, è una sorta di atto dovuto. Lo è per il numero di presenze, lo è per il suo percorso dalle giovanili, lo è per la crescita dell’uomo e del giocatore. Oltre ogni retorica è la scelta più semplice e corretta da fare.
Gabbia: leader nei momenti duri, anche senza fascia
Per certi aspetti peraltro è anche un riconoscimento in relazione a tutte le circostanze nelle quali Matteo ha parlato durante la scorsa stagione in molti dei momenti complessi vissuti. È stata la voce della società nelle serate più buie, quelle nelle quali molti tifosi attendevano si esponessero dirigenti, ed invece alla fine ai microfoni metteva la faccia lui.
Non si tratta di scomposti giochi di potere di questo o quel procuratore, solo di una logica che segue il senso di appartenenza e la credibilità di un ragazzo diventato uomo, di un giocatore diventato ormai leader.
La Storia rossonera è fortunatamente segnata anche da calciatori come il numero 46. Sportivi di valore che riconoscono l’importanza del ruolo, al di là del momento, al di là della qualità della rosa che rappresentano.
Dopo annate difficili, dopo l’ennesima rivoluzione, dar importanza a un giocatore come lui, nello stessa stagione nella quale Modric viene riscoperto come riferimento per l’intero movimento Serie A, significa mandar il messaggio di un vero cambio filosofico. Ritorno al futuro?
