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Da scaricato di lusso a riferimento: la parabola di Ibra

Da scaricato di lusso a punto di riferimento per la costruzione del nuovo Milan: è questa la parabola che Ibrahimovic ha percorso a suon di gol in meno di un mese. Nel calcio di oggi succedono le cose e si dimenticano il giorno stesso, ma quello che è accaduto al Milan con Ibrahimovic ha dell’incredibile e la dice lunga sul concetto di “programmazione” che da troppi anni non alberga più a Casa Milan. Ricostruiamo i fatti degli ultimi 6 mesi.  Dopo il licenziamento di Boban, lo svedese ha avuto un duro confronto con Gazidis di fronte a tutti a Milanello e poi è sceso in campo con atteggiamento a dir poco irritante contro il Genoa. Dopodichè c’è stato il “blocco” del campionato a causa della pandemia e Ibra è stato il primo a “scappare” in Svezia dove ha iniziato addirittura ad allenarsi e a giocare partitelle con l’Hammarby. Durante tutto il lockdown non c’è mai stato nessun contatto tra Ibra e i vertici della dirigenza rossonera, nonostante si avvicinasse il giorno della scadenza contrattuale. Lo stesso Raiola ha confermato che nessuno lo aveva chiamato per rinnovare l’accordo con Ibra, un accordo che grazie all’imminente arrivo di Rangnick e al conseguente addio di Pioli e Maldini, sembrava impossibile. Mentre gli altri giocatori tornano a Milanello per riprendere gli allenamenti, Ibra si trattiene in Svezia. Con l’annuncio della ripresa del campionato il gigante di Malmo fa ritorno a Milanello, ma si infortuna quasi subito. Non solo, il 10 giugno, si fa portavoce della squadra nel duro confronto con Gazidis a Milanello. Volano parole forti. La permanenza dello svedese sembra impossibile e si dubita addirittura che prolunghi il contratto di un mese per completare la stagione, complice anche l’infortunio. In realtà però Ibra recupera e torna in campo a tempo record, le sue prestazioni sono da subito confortanti. E così decide di “non abbandonare” la nave il 30 giugno e acconsente all’estensione fino al termine del campionato. Lui, Maldini, Pioli e la squadra vogliono dimostrare a Gazidis che sta commettendo un grave errore nel portare avanti la “rivoluzione tedesca” fondata sul progetto Rangnick. I risultati del campo danno ragione a Ibra e compagni, ma il destino sembra già scritto e la conferma arriva con la durissima intervista di Ibra datata 10 luglio. L’attacco a Gazidis è alla proprietà è frontale, le accuse pesantissime, molto più di quelle che erano costate a Boban il licenziamento. Ovviamente a tutti sembra chiaro che Ibra non rinnoverà, che Rangnick non punta su di lui e che Gazidis non lo vuole, come non lo voleva a dicembre scorso. Ibra non ne fa una questione di soldi e dice che sarebbe stato disposto a firmare anche a cifre più basse, ma nessuno gli ha sottoposto alcuna proposta. Il futuro di Ibra e del Milan sembra segnato. Siamo al 10 luglio, meno di un mese fa. Poi, succede l’incredibile. Dall’alto, anzi dall’altissimo, arrivano pressioni affinchè Gazidis non resetti nuovamente squadra e quadri dirigenziali per ripartire da zero. I dubbi su Rangnick e sulla sua filosofia crescono. Pioli, Maldini e Ibra rappresentano agli occhi dei tifosi e non solo una certezza dalla quale ripartire. Così Gazidis è costretto a fare retromarcia e a “esonerare” Rangnick ancora prima di assumerlo. Ovviamente con un costo per il disturbo. Arriva la conferma di Pioli e a Milanello di respira aria di “restaurazione” non più di rivoluzione. Pian piano arrivano conferme sul fatto che siano in molti a restare, a partire da Maldini. E improvvisamente Ibra passa dall’essere “ingombrante” a “imprescindibile”. Dall’essere “vecchio” ad essere il punto di riferimento del nuovo Milan. Come dice lui stesso “giocatore, allenatore e dirigente”. Ovviamente il cambio di scenario lo pone in una posizione di forza a livello contrattuale. Tanto è vero che mentre per mesi Raiola ha atteso da Gazidis una chiamata che non arrivava mai, adesso è l’agente italo-olandese a fare il “prezioso”, a prendere tempo e a rincarare le pretese. Ibra si sarebbe accontentato di 2 milioni all’anno, adesso ne pretende 4 o addirittura 6. L’andamento dei fatti ha restituito a Raiola il famoso “coltello dalla parte del manico” e adesso può tornare a dettare legge. Pone le sue condizioni su Ibra, le porrà su Donnarumma e le porrà su Romagnoli. Su Bonaventura ha dovuto astenersi solo perché aveva già trovato l’accordo con un altro club. Dalla famosa “deraiolizzazione” di “ barbariana” memoria siamo tornati al Milan feudo del prode Mino. Con tutti gli annessi e connessi. Era sbagliato cacciare Raiola da Milanello e da casa Milan, cosiccome è sbagliato tornare a farsi “comandare” da lui. Raiola, come tutti i procuratori, va maneggiato con cura e utilizzato negli interessi della società. Né troppo potere né fuori dalla porta. Una via di mezzo. Ma purtroppo vie di mezzo ed equilibrio si hanno solo con proprietà forti e dirigenti capaci. In questi anni al Milan non se ne vedono molti. Al Milan non dovrebbero dettare legge né i procuratori né i giocatori, ma la società. Con questo intendo dire che sarebbe stato sbagliato cacciare Ibra, ma che è altrettanto sbagliato renderlo così centrale e dominante nel progetto rossonero. La speranza è che pian piano si riesca a ricostruire una società degna di tal nome, che sia unita e che faccia solo e sempre gli interessi del Milan. In questo senso devo dire che si vedono i presupposti di un cambiamento positivo. Si vedono per esempio nell’ambito della comunicazione, dove, anche qui, si respira un’aria di “restaurazione”. Ma si vedono anche nell’area tecnica. A questo proposito mi ha letteralmente entusiasmato negli ultimi giorni l’idea di potere rivedere Fabio Capello in rossonero, con una veste manageriale. Don Fabio potrebbe essere l’uomo giusto per ripristinare ordine e gerarchie all’interno e per far rispettare il Milan all’esterno. Sia in ambito politico sia in ambito internazionale. Sarebbe l’uomo giusto per proteggere l’allenatore e per salvaguardare gli interessi di una proprietà a cui è storicamente molto legato. E, cosa non da poco, sarebbe uno dei pochi, anzi pochissimi, in grado di arginare lo strapotere di Ibra. E del suo agente.

 

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