Il calcio è fatto di suggestioni, fluttua tra il sacro ed il profano, vive di scaramanzie, rituali ed anche omonimie. Qualche tifoso rossonero in questi giorni ha rilanciato il ricordo di Oliver Bierhoff, che tanti dei nostri lettori ricorderanno con affetto. L’attaccante tedesco fu grande protagonista dello scudetto del 1998-99, anno in cui ha vissuto la miglior stagione in termini realizzativi con la nostra maglia, mettendo a segno 19 gol in campionato.
Coi suoi colpi di testa ha segnato sostanzialmente un’epoca, un fondamentale tecnico che lo rendeva immarcabile. Esaltato dal sistema di Zaccheroni, che lo ha allenato per sei stagioni consecutive tra Udinese e Milan, è stato punta centrale nel proverbiale 343 di Zac, imbeccato spesso dai cross Helveg, esterno destro danese che col Diavolo ha ricevuto più critiche che riconoscimenti.
A vent’anni esatti dal congedo rossonero di Oliviero Bomber Vero, sbarca in città a termine di una lunga trattativa Olivier Giroud. L’ex Chelsea arriva con altre aspettative e un altro curriculum rispetto a Bierhoff. Il francese ha un passato più nobile, specialmente grazie alle 9 annate in Premier, e un palmares personale importante a livello internazionale tra club e nazionale.
Tuttavia in un calcio molto diverso da quello di inizio millennio, per valori tecnici e non, con un numero di partite sempre crescente, quel che la società si aspetta da Giroud, è che riesca a riempire i vuoti che fatalmente lascerà Ibra, con quella spolverata di esperienze e senso del gol che ne hanno caratterizzato la carriera e che in competizioni come la Champions League possono far la differenza.
Da Oliver ad Olivier, dal coro sulle note di “E, la vita la vita” di Cochi e Renato per Bierhoff e i suoi colpi testa, a “Hey Jude” dei Beatles, sulle cui note hanno sempre festeggiato le reti londinesi di Giroud, con la speranza che la Sud possa tornare a cantare dal Secondo Blu in presenza e in pianta stabile.