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31 maggio: tra Maldini e il popolo rossonero un cerchio si chiude, un altro si apre. Un otto che sa di infinito

Era il 31 maggio 2009: l’eterno “Paolino” annuncia a San Siro di voler appendere gli scarpini al chiodo, tra gli applausi di quasi tutto il pubblico presente sugli spalti, grato per gli innumerevoli successi conquistati con la maglia del Diavolo. Quasi tutto, appunto, perché uno spicchio della curva milanista non esita a fischiarlo, memore di alcune dichiarazioni piccate da parte del capitano nel day-after della sciagurata disfatta di Instanbul.

Una ferita che per anni ha faticato a rimarginarsi. Anni, dodici, caratterizzati da tanti insuccessi e tentativi da parte di Maldini di ritornare a far parte di quella che è sempre stata la sua casa, la sua famiglia. I rapporti con Galliani non proprio idilliaci lo impediscono, così come il progetto poco solido e trasparente di Yonghong Li. Finché nella famosa estate del 2018 – quella in cui il broker cinese, insolvente, lascia il club nelle mani del fondo Elliott. E dei milanisti, con Leonardo e l’ex numero tre appunto designati come dirigenti, con il compito di riportare il Milan là dove deve stare.

Nascosto dall’ingombrante ombra del più navigato Leonardo, e poi di Boban, Paolo “figlio di Cesare” inizialmente non ha conquistato la fiducia del popolo rossonero: silenzioso, talvolta timido, la sensazione non era proprio quella di un comandante, di un architetto illuminato capace di costruire un qualcosa di solido e vincente. E invece, proprio quando il compagno di tante battaglie “Zorro” ha abbandonato la nave dopo i dissidi con Gazidis e anche la sua esperienza da direttore tecnico sembra giunta al capolinea, Maldini con la calma dei saggi ha preso il suo Milan in mano e l’ha trasformato in un progetto ambizioso.

Al primo anno da solo, di primo e vero riferimento rossonero, è riuscito nell’impresa di mixare giovani dalle belle speranze e vecchi ormai dati per pensionati – Zlatan Ibrahimovic e Simon Kjaer – e di riportare il Diavolo in Champions League, dopo 7 anni. Come gente del calibro di Galliani, Fassone e Leonardo non erano più riusciti. Poche chiacchiere, lavoro ininterrotto e passione hanno contraddistinto l’uomo Maldini e i risultati hanno parlato sul campo.

Il popolo rossonero lo sa e infatti ha giustamente organizzato il suo tributo davanti a Casa Milan, neanche a farlo apposta il 31 maggio: alla squadra, all’allenatore e alla società, ricucendo quella ferita aperta appunto quel 31 maggio del 2009. “Siamo solo all’inizio, questo non è un punto di inizio ma un punto di partenza” ha affermato Paolo lunedì. E questo non vale solo per il Milan. Ma anche e soprattutto per Maldini e tutto il tifo milanista, che da lunedì ha cominciato una nuova luna di miele. Si chiude un cerchio, se ne apre un altro. E due cerchi, se vi avvicinano, formano il simbolo dell’infinito…

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