Settecentoquarantatré giorni dopo, il Milan torna a guardare tutti dall’alto. Non con il fuoco delle rivoluzioni, ma con la calma delle certezze. E con un allenatore che ha fatto della misura la propria arte. È questa la maniera di Massimiliano Allegri: poche parole, tanti fatti, pochi ornamenti, tanti risultati. Sono passati due anni dall’ultima volta che i rossoneri si sono ritrovati da soli in testa alla classifica. Due anni di inseguimenti, di transizioni tecnico-tattiche e di identità mai del tutto consolidate. Ora, però, a riaccendere quella fiamma rossonera che un po’ si era affievolita non è il romanticismo del gioco, ma la concretezza del risultato.
Un ritorno silenzioso ma pesante: ALLEGRIsmo
Massimiliano Allegri è tornato. E lo ha fatto come sa fare lui: senza proclami, con una calma che sa di esperienza. C’è chi ama vincere travolgendo. Chi invece sopravvivendo. Allegri appartiene alla seconda scuola di pensiero: quella del pragmatismo, della misura, di quella sintesi tra ciò che serve e ciò che basta. Il suo Milan non rincorre schemi visionari, respira un’aria di lucidità e controllo. L’idea è semplice – forse anche banale, per qualcuno – ma efficace: prima non bisogna prenderle, poi però bisogna darle.
E, paradossalmente, è proprio in questa essenzialità che nasce la forza di questa squadra. Un’apparente semplicità che nasconde però un lavoro minuzioso, quasi artigianale. I dettagli, le distanze tra i reparti, la velocità di pensiero – in campo e fuori -, le scelte di tempo. Tante cose che unite tra di loro però sembrano poche.
L’arte di vincere senza dominare
C’è una linea sottile tra vincere dominando e dominare senza vincere, forse il credo del Milan della scorsa stagione, finito mestamente decimo in classifica e con più dolori che gioie. Allegri ha restituito alla squadra la dimensione più semplice e al tempo stesso più difficile del gioco: quella del controllo. Si può vincere anche senza dominare, si può comandare anche senza alzare la voce. E oggi, più che mai, il Milan lo dimostra.
Dopo un avvio di stagione fatto di assestamenti, qualcosa è scattato. Due vittorie larghe – 3-0 al Lecce in Coppa Italia e 3-0 all’Udinese in campionato – hanno segnato la svolta. Non solo per i risultati, ma per l’attitudine: una sensazione di avere sempre il tempo e lo spazio dalla propria parte. In campo si avverte una calma nuova, quella di un gruppo che si fida di ciò che fa e che deve fare, ma soprattutto di chi lo guida.
Poi, come spesso accade nel calcio di Allegri, ecco le partite di sofferenza elegante. Quel “corto muso” di cui tanto si parla. Il 2-1 al Napoli che dà consapevolezza, lo 0-0 a Torino che un po’ ne toglie, e infine il 2-1 alla Fiorentina che consolida quel segnale forte di sacrificio e pragmatismo. Ogni gol pesa come un macigno, ogni minuto racconta un’idea del Milan allegriano: vincere attraverso l’ordine.
Parola d’ordine: concretezza
Allegri ha riportato nel Milan la sua cifra più stilistica: la concretezza. Senza fronzoli, senza teorie, senza estetica. Questo Milan non ha l’urgenza di piacere: ha solo quella di vincere. Il gruppo è compatto, i reparti comunicano, e i giocatori sembrano aver ritrovato il sapere cosa fare in campo. Spirito, gestione, esperienza: Max risponde con la logica del pragmatismo. E il non avere le coppe non poteva che essere la ciliegina sulla torta che non mette distrazioni e alibi in un momento più che mai sacro per una obbligatoria ricostruzione.
E allora sì, ci voleva davvero Allegri per tornare a comandare. Perché il calcio, a volte, è più semplice di quanto vogliamo credere: vince chi sbaglia meno, vince chi sa aspettare, vince chi mette il musetto davanti. Non incanta, ma costruisce. Non promette, ma mantiene. E in questo, nessuno è meglio di Massimiliano Allegri.
