Luci a San Siro, cantava Roberto Vecchioni. Quel 16 maggio 2004 al Meazza non servivano, perché era un pomeriggio afoso, nel quale il Milan preparava la festa per lo Scudetto numero 17, conquistato due settimane prima sullo stesso campo con la zuccata di Andryi Shevchenko contro la Roma. Ma non servivano soprattutto perché a illuminare quel giorno, e a mettere in secondo piano il campionato conquistato, c’era la stella – forse – più luminosa del calcio italiano, all’ultima uscita: Roberto Baggio.
Parlare del Divin Codino come giocatore è fin troppo facile. Un calciatore senza ruolo, perché quelli come lui in campo possono fare quello che vogliono. Attaccante o trequartista (diremmo oggi) sono solo etichette, una classe cristallina come la sua non poteva essere ‘intrappolata’ da una posizione definita. A Baggio non è mai servito un palmares ricco per essere ricordato: appena due scudetti (uno con il Milan nel ’96) e una Coppa Uefa. Spicca il Pallone d’oro vinto nel 1993 e chissà, se quel rigore di Pasadena fosse stato un metro più basso, magari avrebbe bissato anche nel 1994.
Oltre alla purezza del suo calcio, Baggio è entrato nel cuore di tutti – ma proprio tutti – per la persona che era in campo e che è tutt’oggi. Uno che ha girato tante squadre, spesso rivali acerrime, come Milan, Inter, Juve e Fiorentina fosse stato un giocatore ‘normale’ sarebbe stato subissato di fischi. Per Roberto solo amore, dovunque. All’84’ di quel Milan-Brescia del 2004, Baggio venne richiamato in panchina da Gianni De Biasi per concedergli l’ovazione della Scala del calcio. Lo stadio italiano più importante, per il saluto più importante al giocatore italiano più importante.
Baggio ha rivelato di essersi fermato un attimo prima di uscire: “Ora è finita veramente Roberto”, ha pensato. E mentre era lì a godersi i suoi ultimi secondi da calciatore, ricevette l’abbraccio di Paolo Maldini, ma soprattutto l’amore della gente: “Ho visto che applaudivano tutti – disse Baggio – bambini, ragazzi e padri di famiglia. Lì ho capito quanto la gente mi ha voluto bene”. Tanto Roberto. E te ne hanno voluto tutti.